Esistono libri di grande successo appena dati alle stampe ma che poi rapidamente cadono nell’oblio. Ne esistono altri cui solo il tempo rende giustizia. Ci sono poi quelle poche opere che risultano rivoluzionarie alla prima uscita e che sono destinate all’eternità.

"Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957) appartiene certamente a quest’ultima categoria. Dato alle stampe nel 1958, un anno dopo la morte del suo autore, ha ricevuto il Premio Strega nel 1959 ed è stato il primo best-seller nostrano a superare le centomila copie. Nel 1963 è poi divenuto un fenomeno mondiale grazie alla trasposizione cinematografica realizzata dal grande Luchino Visconti.

Il manifesto del film
Il manifesto del film
Il manifesto del film

Al successo immediato del romanzo contribuì la qualità della narrazione e la bellezza della storia, il fascino del grande affresco in cui si narra magistralmente il crepuscolo di un mondo – quello dell’aristocrazia siciliana – e la nascita di tempi nuovi rappresentati dall’Italia unita, con tutti i suoi vizi e le sue poche virtù. Inoltre alla fortuna del romanzo hanno contribuito i personaggi indimenticabili creati da Tomasi di Lampedusa, degni di Tolstoj e di Victor Hugo: Fabrizio, principe di Salina, disincantato ma senza essere cinico né tantomeno mediocre. E ancora Tancredi, così sfrontato e pieno di vita, e Angelica, capace di racchiudere in sé il fuoco e la passione tipiche della sicilianità più pura.

A queste qualità letterarie si unisce però l’attualità del romanzo, un’attualità che dura nel tempo nonostante si raccontino vicende antiche di un secolo e limitate a una Sicilia aristocratica oramai consegnata per sempre alla storia. Ebbene, pochi romanzi hanno raccontato e, soprattutto, continuano a raccontare l’Italia e i suoi abitanti meglio del "Gattopardo".

Nelle pagine del romanzo – ed è questo che garantisce al libro una fama duratura - ritroviamo l’eterna sfiducia di noi italiani per ogni tipo di vero cambiamento unita all’idea che nulla e nessuno possono fare più di tanto per cambiare lo status quo. Questi italianissimi atteggiamenti sono stati riassunti da Tomasi di Lampedusa nel famoso motto del principe di Salina, il Gattopardo in persona, uomo che di fronte ai mutamenti dei tempi, alla fine del mondo aristocratico in cui la sua famiglia ha prosperato per centinaia di anni, non esita a cogliere con senso pratico le possibilità dei tempi nuovi: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi", afferma con un misto di realismo cinico e di rassegnazione.

Assieme all’immutabilità accettata quasi con rassegnazione ritroviamo ancora nel "Gattopardo" il gusto tutto nostrano di sentirci sempre al centro del mondo perché viviamo in una terra comunque bellissima, assieme alla pretesa di considerarci un passo avanti a tutti, nonostante la realtà che ci circonda dica tutt’altro: "Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra", scrive Tomasi di Lampedusa ed è praticamente impossibile non rispecchiarsi in queste parole, non ritrovare nel Gattopardo tanta italianità odierna, amante del quieto vivere, del perbenismo, del "proprio particulare".

Un’italianità che Tomasi di Lampedusa racconta al passato per parlare al presente, un’italianità raccontata con un linguaggio da romanzo storico ottocentesco debitore nello stile di Manzoni e Verga ma con sensibilità nuova, figlia delle consapevolezze e dall’introspezione psicologica regalate alla letteratura dal Novecento.

Roberto Roveda

La copertina della prima edizione del 1958
La copertina della prima edizione del 1958
La copertina della prima edizione del 1958
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