Per secoli i diritti individuali sono stati l'elemento propulsore della lotta contro le tirannie e gli assolutismi. Sono il fulcro di ogni democrazia e non è pensabile una moderna società avanzata che non si basi prima di tutto sui diritti, sulla libertà intesa nel suo significato più ampio.

Un significato così ampio che a volte sembra, però, impossibile esprimere un'opinione, emanare una norma, prendere una decisione senza che qualcuno urli alla discriminazione, all'attacco alla libertà e al buon diritto individuale.

Siamo quindi di fronte a una vera e propria ipertrofia dei diritti, il cui risultato è un paese, il nostro, tradito dalla libertà. Un paese in cui nessuna élite ha più il coraggio di dire il vero e di fare i conti con minoranze organizzate sotto la bandiera dei diritti acquisiti.

È questa la tesi, non certo vicina al pensiero oggigiorno dominante, che troviamo in "Troppi diritti" (Mondadori, 2018, pp. 192), sagace saggio di Alessandro Barbano, direttore del quotidiano "Il Mattino".

Per Barbano il declino dell'Italia si spiega anche con l'elevazione dei diritti a unico principio guida della società. Ma una tesi così non rischia di essere tacciata di oscurantismo?

Lo chiediamo proprio allautore del libro:

"L'accusa può valere se ci si accoda al conformismo che ci ha condotto all'affermazione della retorica dei diritti. Se invece si va un po' in controtendenza si creano gli spazi per idee diverse, per 'smascherare i falsi simulacri della tribù' come dice un grande intellettuale come Claudio Magris. Si creano, quindi, gli spazi per interrogare le classi dirigenti e i cittadini del nostro paese su come la democrazia, inseguendo i diritti, sia finita su un piano inclinato che conduce verso il basso".

La copertina del libro di Alessandro Barbano
La copertina del libro di Alessandro Barbano
La copertina del libro di Alessandro Barbano

L'eccesso di diritti è così tanto un male per l'Italia?

"Più che l'eccesso, la loro disarticolazione dai doveri. L'articolo 2 della Costituzione riconosce le libertà inviolabili dell'individuo. Poi però chiede l'adempimento di doveri inderogabili di solidarietà economica, civile, politica e sociale. Ebbene questa seconda parte è stata completamente dimenticata perché quello che chiamo 'dirittismo' si è infiltrato nella cultura del nostro tempo".

Cosa intende per dirittismo?

"È una malattia per cui ci sono solo diritti e nessun dovere. Ha infettato la politica, che ha fatto promesse di diritti a tutti senza tenere contro delle risorse a disposizione. Ha infettato il riformismo, che ha rinunciato a mettere in discussione i diritti acquisiti proteggendo i penultimi a scapito degli ultimi".

Chi intende per "penultimi" e "ultimi"?

"Gli ultimi sono, per esempio, i più giovani, i non garantiti in alcun modo mentre le generazioni precedenti non intendono rinunciare ai diritti acquisiti. Il risultato è un debito pubblico astronomico che è una sorta di ipoteca che i padri pongono sulla testa dei loro figli. Questo debito è l'emblema del dirittismo, delle scelte fatte negli ultimi decenni e ancora di più con la globalizzazione: difendere il più possibile i diritti esistenti rinunciando a proteggere i più giovani, i più deboli. Allora, il nuovo contratto di Alitalia si fa per mantenere le posizioni acquisite dai lavoratori più anziani scaricando i costi e le incertezze sui più giovani e così via".

Di chi è figlio il dirittismo?

"È stato coltivato dal riformismo, come detto prima, ma anche dal liberalismo che nel ventennio berlusconiano ha declinato la libertà trasformandola in un egoismo individuale che ha cancellato il patto di solidarietà tra le generazioni. Il massimalismo ideologico di sinistra ha declinato il dirittismo nella vecchia lotta di classe, cioè nella lotta per i diritti degli operai nel mondo post-industriale, una lotta che ha preso le sembianze dell'ambientalismo ideologico, dell'anti-industrialismo, del pauperismo. In ultimo le forze antisistema hanno usato i diritti come clava per abbattere le élite, per abbattere la casta. Ma abbattendo la casta hanno abbattuto anche la delega che è l'essenza della democrazia".

Perché ne è l'essenza?

"Perché, come insegna la storia, la democrazia o è rappresentativa oppure non è democrazia. Ogni qual volta il primato della piazza si presenta sul palcoscenico della storia in realtà siamo di fronte al dominio di pochi su molti e questo vale anche per la democrazia internettiana che va oggi di moda. Il dirittismo antielitario dei movimenti populisti ci racconta la democrazia come qualcosa di peggiore di quello che in realtà è. E questo in nome di un'utopia".

Quale sarebbe questa utopia?

"Quella della democrazia perfetta, che è appunto un'utopia come ben sapevano le generazioni che ci hanno preceduto, quelle che uscivano dal fascismo e dalla guerra. Generazioni che avevano accettato le imperfezioni della democrazia e comprendevano l'importanza del compromesso, della liturgia della politica del dialogo. Oggi, invece, il compromesso diventa subito inciucio, la liturgia politica è subito teatrino della politica, il dialogare significa voltar gabbana. Questo modo di intendere le cose, però, è frutto di analfabetismo democratico. E mi fa paura che soprattutto i giovani non intendano fino in fondo cosa sia la democrazia e arrivino a pensare che non sia lo strumento migliore per governare i destini del mondo".

Si parla appunto di crisi dell'idea di democrazia e di crisi della politica. Cosa si può fare per invertire la rotta?

"Ci vuole quello che io chiamo il 'moderatismo integrale', cioè dobbiamo avere la forza di raccontare l'imperfezione della democrazia, i suoi grigi, ma anche il suo rango, il suo stile, la sua bellezza, il suo prestigio di istituzione che non ha eguali con la stessa capacità di persuasione usata dai populisti per denigrarla. Ci vuole una pedagogia civile, un pensiero forte, ma non alieno da dubbi. Un pensiero forte proprio perché non ha paura di raccontare i difetti e i limiti dell'istituto democratico nella consapevolezza che non vi è nulla di paragonabile al mondo. È una sfida, una sfida che chiama a raccolta la politica, gli intellettuali e tutto il mondo dell'informazione. Una mondo che finora, a mio parere, non ha fatto fino in fondo il proprio dovere".

È ottimista sull'esito di questa sfida?

"Non so se sarà una sfida vinta. San Benedetto, dopo il crollo dell'Impero romano, creò i monasteri dove si conservò la cultura classica che poi ha continuato a illuminare il mondo nei millenni successivi. Credo, quindi, che nei momenti più bui la forza del pensiero deve avere il coraggio della testimonianza, anche se si trova in condizioni minoritarie. La democrazia è il punto di approdo della più grande civiltà mondiale nel momento del suo massimo sviluppo. È un patrimonio da custodire e da rivitalizzare in questo momento di crisi. A mio parere, se abbiamo coraggio, possiamo essere più credibili dei populisti, capaci di vedere il mondo solo in bianco e nero".
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