Nel secondo Dopoguerra il cinema italiano visse due decenni di vera e propria età dell’oro. Il primo slancio, quando ancora l’Italia era un mucchio di rovine fumanti, venne col Neorealismo di grandi registi come Roberto Rossellini e Vittorio De Sica. Ai capolavori neorealistici si aggiunsero ben presto i film campioni d’incasso e di divertimento come le pellicole di Totò, Alberto Sordi, Aldo Fabrizi. A trascinare nelle sale milioni di italiane e italiani era anche un gruppo di attrici sensuali, seducenti. Soprattutto magnetiche e molto, molto brave. Erano le grandi dive del cinema nostrano anni Cinquanta: in ordine rigorosamente alfabetico, Gina Lollobrigida, Sofia Loren, Silvana Mangano e Silvana Pampanini. Potremmo aggiungerne altre, da Marisa Allasio e Gianna Maria Canale, ma le quattro citate erano le star femminili per eccellenza. Rappresentavano un vero e proprio fenomeno divistico a sé stante, il fenomeno della “maggiorate” a cui Federico Vitella, docente di cinema all’Università di Messina, ha dedicato un saggio ricco di curiosità e informazioni: “Maggiorate. Divismo e celebrità nella nuova Italia” (Marsilio, 2024, pp. 336).

Intanto chiariamo subito quella che può essere una legittima curiosità, soprattutto per i molti che non hanno vissuto in prima persona i ruggenti anni Cinquanta del cinema italico. La fortunata espressione “maggiorata” venne coniata dallo sceneggiatore Sandro Continenza durante la lavorazione del film Altri tempi (1952) per definire l’esuberanza fisica e, soprattutto, sensuale di Gina Lollobrigida. E dalla Lollo, nel discorso giornalistico come nella riflessione storiografica, il termine finì presto per designare una batteria di attrici di successo, accomunata dalla non comune carica sessuale: Mangano, Pampanini, Loren su tutte.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Le maggiorate furono però molto di più di semplici sex symbol. Era donne di successo in una Italia ancora fortemente maschilista e bigotta. Era influencer ante-litteram e imprenditrici di loro stesse. Senza negare del tutto l’immagine tradizionale della donna madre e moglie, affermarono la possibilità di realizzare prima di tutto i loro sogni senza farsi eccessivamente condizionare dal conformismo imperante. Guadagnarono, infatti, una libertà insolita nel contesto femminile dell’epoca perché erano indispensabili allo show business. Le maggiorate erano contese dai principali produttori di Cinecittà, riempivano le sale di ogni ordine e grado, scatenavano inquietanti episodi di delirio collettivo, facevano notizia su quotidiani e rotocalchi, prestavano i connotati a famosissimi marchi del made in Italy, inauguravano festival ed eventi esclusivi, visitavano ufficialmente le autorità di mezzo mondo. Le maggiorate erano famose, erano celebrità, erano persone pubbliche. Erano dive. La loro importanza andava ben oltre il personaggio, il film, il cinema, per incarnare più generalmente forme di vita seducenti e modi di essere replicabili della nuova Italia repubblicana. Una Italia che si stava lanciando nel boom economico e scopriva rinnovati orizzonti, anche per quanto riguardava l’emancipazione femminile.

In quest’ottica il libro di Vitella non vuole celebrare dei miti, ma dare la massima rilevanza al divismo delle “maggiorate” come parte di un processo storico ben definito. Il divismo di Loren, Lollobrigida e delle altre grandi attrici dell’epoca fu un fatto sociale capace di modificare prassi lavorative, creare forme della rappresentazione, veicolare discorsi di genere, mobilitare su larga scala desideri, aspirazioni, preoccupazioni. L’immagine divistica di Lollobrigida, Loren, Mangano e Pampanini ci riporta a quell’età dell’oro in cui il cinema stava nel pieno centro dell’industria culturale, e da lì si estendeva in tutte le direzioni possibili, offrendo generosamente miti, riti, beni che facevano da collante sentimentale al Paese.

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