Sante, un Garibaldi antifascista: il ricordo della figlia Annita
Nipote dell’Eroe e della mitica Anita, fu internato in vari campi di concentramentoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«A differenza di alcuni dei fratelli che si avvicinarono al regime fascista, Sante Garibaldi vi si oppose». Arrestato in Francia dalla Gestapo fu internato in vari campi di concentramento. Liberato nel 1945 morì un anno dopo in conseguenza dei patimenti subiti durante la prigionia. Di lui, figlio di Ricciotti Garibaldi, figlio a sua volta dell’Eroe e della mitica Anita, ha parlato nei giorni scorsi a Caprera, in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio, Paolo Lisca, docente al Liceo Dettori-De André Tempio Pausania, presentando il libro, fresco di stampa, edito da Paolo Sorba, scritto dalla figlia, Annita Garibaldi Jallet, dal titolo: “Un Garibaldi, Sante, mio padre”. Alla presentazione erano presenti tra gli altri, Sergio Cappai, direttore dei Musei Garibaldini di Caprera; Gianvincenzo Belli, assessore alla Cultura di La Maddalena; Antonello Tedde, presidente Sezione A.N.V.R.G. di La Maddalena; l’autrice e l’editore.
Si è parlato anche, a Caprera, del padre di Sante, commentando “Ricciotti, il Garibaldi irredento”, libro scritto ugualmente da Anita Garibaldi Jallet, edito anche questo da Paolo Sorba.
Che cosa abbiamo avuto in comune i due personaggi, ha spiegato Paolo Lisca, è stato «certamente il rapporto di parentela; Sante, quinto figlio di Ricciotti, entrambi discendono da Giuseppe Garibaldi, eroe dalle connotazioni mitiche, capace di attrarre folle di volontari al suo comando, di perseguire ideali di emancipazione sociale e di progresso civile nel più assoluto disinteresse personale». Sono vissuti tuttavia in epoche diverse: «Ricciotti nasce nel 1847 e Sante nel 1885, l’uno è figlio della seconda metà dell’800 mentre l’altro è già proiettato nel ‘900, e questo ha fatto la differenza – ha spiegato Lisca - anche dal punto di vista di quel rispetto della ossequiosa della tradizione garibaldina; un filo rosso che lega tutti i fratelli, figli Giuseppe Garibaldi, che parte sostanzialmente proprio da Ricciotti».
E la presa di posizione di Sante, contro il regime fascista lo pone, ha sostenuto sempre Paolo Lisca, «nella posizione di poter essere considerato il depositario dei valori della famiglia di un tempo, e rappresentante della tradizione garibaldina in chiave antifascista, considerando che questa ha una valenza fortemente democratica che non ha niente a che vedere con la dittatura».
Dopo alcuni anni passati in Egitto, dove s’era trasferito giovanissimo, e dove fa esperienza di costruttore edile oltre che di cartografo, Sante Garibaldi ritorna in Italia partecipando alla campagna di Grecia e poi alla guerra del 15-18; un anno prima dell’entrata in guerra dell'Italia combatte con la Legione Garibaldina. Dopo la guerra si trasferisce in Francia dove prosegue l’attività di imprenditoriale edile. È nel 1924, dopo la morte del padre Ricciotti e l’assassinio di Giacomo Matteotti, che prende le distanze dal regime fascista.
«Il libro su Sante mi ha colpito molto emotivamente perché è drammatico, raccontando vicende drammatiche: sono pochi i momenti reali di solarità che possiamo trovare nel racconto che lo stesso Sante fa della sua vita, andando a ritroso con la memoria», ha detto Lisca. «Ma l’ho trovato anche di una tenerezza struggente, evidenziata in modo sapiente dall’editore, nella copertina del volume, dove abbiamo la figura di Sante, in primo piano, in uno dei suoi momenti migliori, con un sorriso, e la figlia Anita piccola, di 4 anni, e nello sfondo un cantiere edile». Il libro, ha ancora affermato il presentatore, «può essere visto come una sorta di dialogo ideale tra padre e figlia; Sante infatti aveva messo su carta una lunga memoria in cui ricostruiva le tappe della sua vita fino al 1946, anno della sua morte. Annita si inserisce in questa narrazione, sottolineando i momenti salienti, evidenziando i passaggi significativi, le scelte difficili fatte dal padre; alcune volte rimproverandolo, bonariamente, per le conseguenze che alcune scelte hanno comportato, altre volte ponendogli delle domande destinate a non avere risposta; sempre però manifestando amore ed orgoglio, per un padre che, di fatto, non ha potuto conoscere».