Una bella e sincera stretta di mano valeva più di mille parole. Valeva, una vita fa. Prima che il Covid 19 cambiasse le nostre esistenze, le nostre abitudini e anche il nostro modo di salutarci, imponendoci nuove distanze.

Non basta avere le mani diligentemente lavate e igienizzate con l'amuchina - il ministro degli Interni tedesco Horst Seehofer, che si è rifiutato di stringerla alla cancelliera Angela Merkel, docet - per salutarsi bisogna agitarla da lontano oppure fare appello ad antiche tradizioni.

Un cenno del capo

Come quella indiana dove le persone si salutano con l'Anjali Mudra: si congiungono le mani tra di loro come in preghiera, si mettono davanti al cuore e si pronuncia la parola "Namaste", letteralmente "mi inchino a te". Deriva dal sanscrito "namas" (inchinarsi, salutare con reverenza) e te, ma chiama in causa la spiritualità, la sacralità di chi porge e riceve il saluto. Un gesto diventato familiare grazie ai corsi di meditazione ma anche agli emoticon degli smartphone che hanno inserito le manine congiunte tra i simboli di ringraziamento e di congedo.

Persino il poco cerimonioso presidente degli Stati Uniti Donald Trump, nella sua recente visita in India ha promunciato la celebre parola, senza però giungere le mani, salvo poi infrangere tutte le regole e abbracciare calorosamente il premier Narendra Modi. A rilanciare l'antico saluto è stato anche un popolare attore indiano di Bollywood: sui social ha invitato tutti a salutarsi con un piccolo cenno del capo accompagnato da questa sorta di preghiera del "Namaste".

Lingua fuori!

In linea con le prescrizioni da Coronavirus sono certamente i musulmani e gli ebrei, che si salutano verbalmente scambiandosi un reciproco "As-salam alaykom" o "Shalom" (la pace sia con te), un bel modo verbale e senza contatti fisici di manifestare affetto. Non avremmo problemi se abitassimo in Tibet dove il saluto è una bella lingua di fuori, considerata così scortese e maleducata in Occidente. Eppure una linguaccia sarebbe perfetta se accompagnata dalle mani giunte sul petto per dire che "vengo in pace". L'insolito saluto nasce dalla necessità di provare che i tibetani non erano la reincarnazione di un crudele re del IX secolo, colpevole di avere la lingua nera. Oggi lascerebbe senza parole la foto opportunity dei ministri degli Esteri asiatici riuniti per una conferenza sul Coronavirus, che danno vita a una catena stringendosi le mani, alla faccia delle prescrizioni anticontagio.

Un tocco e via

Ogni stagione lascia in eredità qualcosa, buona e cattiva. È troppo presto per dire che cosa avremo imparato dall'esperienza dell'epidemia di coronavirus, mostro invisibile che ci impone ritmi diversi e insolite abitidini. Per ora dalla lontanissima Wuhan non solo ci è arrivato il micidiale virus, ma anche un nuovo modo di salutarsi. Con i piedi. Si chiama il "Wuhan shake" e lo hanno brevettato i cittadini della provincia cinese. Incontrandosi non si danno più la mano ma si toccano l'interno del piede, prima uno e poi l'altro, in una sorta di affettuoso incrocio pedestre. Proprio come ha fatto il presidente della Tanzania, John Magufuli, che invece delle mani, per salutare l'esponente dell'opposizione Maalim Seif Sharif Hamad, ha usato i piedi condividendo poi l'immagine sui social. Anche in Iran, paese particolarmente colpito, si è presa la stessa abitudine.

Se non sono piedi, diamoci di gomito. Non più per ammiccare ma per salutarsi con simpatia. Lo fanno in Francia, patria dei bisous: ci si tocca l'interno dei gomiti, come suggerisce il ministro francese Olivier Véran.

Caterina Pinna

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