Quando l’ambientalismo diventa ideologia
Errori e allarmi dell’ecologismo militante secondo Michael Shellenberger
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Viviamo in un’epoca in cui domina, un po’ in ogni campo, il pensiero unico. Chi fa cenno di scostarsene spesso incontra gli strali dei censori e dei sacerdoti dell’idea dominante. In campo ambientalista, per esempio, oggi è difficile sfuggire ai mantra del “Gretismo”, agli allarmi secondo cui la nostra casa, il Pianeta Terra, sta bruciando ed è destinato alla distruzione per mano umana nel giro di pochi decenni se non di pochi anni.
Michael Shellenberger prova a confutare questi miti dell’apocalittica ambientalista nel suo ultimo saggio intitolato, non a caso, "L’apocalisse può attendere” (Marsilio, 2021, pp. 464, anche e-book).
Shellenberger – forte di decenni di attivismo ecologista e consulente ambientale per molti governi (amministrazione Obama compresa) – non si pone nel suo libro in un’ottica negazionista modello Donald Trump e seguaci vari. Rifiuta però le spiegazioni semplicistiche che sembrano tanto amate dall’ambientalismo radicale, quell’ambientalismo per cui l’ecologia è una fede basata non sui dati, ma sugli slogan. L’autore ci propone, invece, dubbi, ragionamenti, dati anche discordanti. Ci spinge a interrogarci su cosa significhino veramente espressioni oggi tanto sbandierate quali “decrescita felice” e “sviluppo sostenibile”.
Facile e probabilmente giusto, secondo Shellenberger, chiedere ai Paesi più ricchi di decrescere. Ma veramente possiamo imporre la stessa regola a quelle nazioni che hanno sempre vissuto nella povertà e che oggi si affacciano sulle soglie del benessere e dell’industrializzazione? E ancora: lo sviluppo sostenibile a base di agricoltura biologica ed energia solare ed eolica è veramente la panacea di ogni male? In Africa, dove si muore ancora di fame, l’unica soluzione per Shellenberger è ricorrere a un’agricoltura più produttiva, almeno nel breve e medio periodo. Così come produrre energia con i pannelli solari non è per nulla così efficiente da sostenere una popolazione che nel mondo supera i nove miliardi. E queste forme di energia rinnovabile non sono certo a impatto zero come si vuol far credere. Servono, infatti, materie prime per costruire i pannelli solari e gli impianti eolici e smaltire una batteria di auto elettrica una volta esaurita non è per nulla semplice.
Shellenberger, inoltre, non ha paura di mettere in discussione alcuni capisaldi intoccabili dell’ambientalismo radicale, come il vegetarianismo, l’antinuclearismo e l’idea persistente che l’uomo sia sempre e comunque il problema e la natura, lasciata a sé stessa, libera di agire, la soluzione. Insomma, senza negare problemi e limiti dell’azione umana, Shellenberger prova a rendere evidenti le contraddizioni di quanti, di fronte a sfide epocali, pretendono di offrire soluzioni semplicistiche a questioni complesse. E ci avverte dei pericoli di un ecologismo diventato, oramai, una religione militante capace di giocare con le nostre più recondite paure e alimentare quel catastrofismo che anni fa trovava sfogo nell’ossessione del conflitto nucleare imminente e nel Medioevo nella certezza che la fine del mondo fosse imminente.