La tecnologia, soprattutto quella di ultima generazione – digitale e fondata sul web –, avrebbe dovuto aiutarci a stare meglio. Doveva contribuire a livellare le diseguaglianze e favorire una democratizzazione globale. Doveva portarci tutti in una nuova era dalle possibilità pressoché infinite. Almeno questo era quello che promettevano non molti anni fa i guru della tecnologia 2.0.

A un paio di decenni dall'inizio della rivoluzione digitale globalizzata ci ritroviamo, invece, in un mondo dove sempre più spesso i robot sostituiscono i lavoratori manuali, l'intelligenza artificiale si diffonde nel settore delle occupazioni intellettuali e dei servizi e di fatto già oggi sostituisce analisti, medici, commercialisti, agenti di viaggio, giornalisti, avvocati in tanti compiti un tempo appannaggio dell'essere umano. Soprattutto la tecnologia pare aver dato il via a una nuova stagione di diseguaglianze: sacche di povertà da disoccupazione o lavoratori precari sottopagati da un lato, una élite benestante che usa la tecnologia per vivere meglio e più a lungo dall'altro.

Proprio l'accesso privilegiato alle tecnologie, fino agli strumenti della biogenetica, sta portando alla nascita di un nuovo tipo di essere umano, l'Homo premium. Un uomo potenziato rispetto al resto dell'umanità che è il protagonista dell'omonimo "Homo premium" (Laterza 2018, pp. 192, anche e-book), saggio dedicato a come la tecnologia sta cambiando le regole del mondo e ci sta dividendo sempre di più.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

A scriverlo Massimo Gaggi, inviato negli Stati Uniti del Corriere della Sera, a cui chiediamo come prima cosa se è ancora possibile arginare uno dei problemi che più di ogni altro si sta facendo sentire in questo ultimo periodo, l'impatto delle tecnologie sul mercato del lavoro:

"Quello su cui tutti gli analisti oramai concordano è che le nuove tecnologie faranno sparire posti di lavoro in quantità maggiore di quanti ne creeranno. Ci saranno quindi, inevitabilmente, disequilibri e una maggiore diseguaglianza. In questo ambito, però, c'è un problema di consapevolezza della politica, una consapevolezza che è ancora molto di là da venire. Recentemente Zuckerberg si è presentato davanti al Congresso americano ed era evidente che la maggior parte dei parlamentari che gli facevano domande non aveva idea di come funzioni il meccanismo attraverso cui Facebook crea valore, cioè acquisendo dati e informazioni. Difficile quindi programmare un intervento se non si sa cosa si deve affrontare".

Ma almeno si riconosce che c'è un problema che riguarda oramai il reddito medio di molti cittadini?

"Anche se lo si riconosce non c'è tutta questa propensione a creare meccanismi che portino alla ridistribuzione del reddito. Non c'è sicuramente negli Stati Uniti, dove misure di questo tipo sono considerate socialiste e quindi bollate con l'espressione sprezzante "money for nothing", denaro in cambio di nulla. La situazione è tanto bloccata che ultimamente sono state le aziende a fare esperimenti di reddito minimo di sopravvivenza. Sono esperimenti guida, in piccole realtà. Fatti per testare come si comportano le persone".

Come si potranno strutturare queste forme di reddito minimo garantito?

"Le ipotesi sono molte. Si potrà pensare di considerare quelle che oggi sono forme di volontariato – far compagnia agli anziani, per esempio – come lavori veri e propri retribuiti attraverso fondazioni ed enti che si reggono grazie al surplus di ricchezza prodotto dalle aziende del settore digitale. Altri teorizzano l'idea di creare una sorta di dote in azioni da concedere ai giovani al compimento del diciottesimo anno d'età, così da poter entrare nella vita adulta senza l'assillo dei conti perennemente da pagare. Insomma il problema è complesso e per ora non esiste una via tracciata".

Non sembrano meccanismi che ricordano le distribuzioni gratuite di grano dell'antica Roma?

"Meccanismi che garantiscono un reddito ci sono in Europa un po' dovunque e si sono sviluppati nel secondo dopoguerra. Oggi quei meccanismi non reggono più e se ne devono trovare comunque di nuovi".

Ma non conviene anche alle grandi aziende ridistribuire le risorse prima di rimanere senza consumatori?

"Certo, ma per ora non lo stanno facendo e nessuno li spinge a farlo. Anche Obama si è ben guardato dal proporre meccanismi ridistribuivi visti gli attacchi ricevuti per la sola riforma sanitaria".

Le macchine stanno cambiando il mercato del lavoro, ma anche il modo di lavorare. Siamo pronti?

"Non abbastanza. Per esempio fatichiamo a capire il valore economico ed etico dell'uso dei nostri dati, quei dati che così facilmente concediamo al mondo digitale. Allo stesso tempo dobbiamo ancora imparare a lavorare con le macchine perché a volte rifiutiamo delle tecnologie che magari ci semplificano la vita. Tempo fa c'è stata molta polemica per il braccialetto che Amazon faceva usare agli operai che smistavano i pacchi. Il braccialetto emetteva delle vibrazioni che guidavano l'operaio e lo aiutavano a svolgere le proprie azioni senza neanche più dover guardare uno schermo di computer e un codice a barre. Il braccialetto semplificava le cose eppure è scoppiato un casino perché quell'oggetto è stato visto come una forma di controllo del lavoro".

"Il lavoro nobilita l'uomo" dice un vecchio adagio. Nel mondo delle macchine è ancora così?

"Per secoli l'uomo è stato valutato avendo come metro il lavoro svolto. Però questo non è l'unico metodo di valutazione anche perché è molto più difficile gestire il tempo libero che quello occupato lavorativamente, dove tutto è incanalato e organizzato".

Si può essere ottimisti di fronte a cambiamenti tanto rapidi?

"Bisogna essere pragmatici perché lo sviluppo della tecnologia non si può arrestare. Allo stesso tempo si deve provare a controllare lo sviluppo, cosa che non si riesce ancora a fare. Col risultato che gli squilibri iniziano a diventare sempre più evidenti e stanno incidendo sulle politiche dei governi. Ma a preoccuparmi di più è l'uso politico che si può fare della tecnologia".

Ci racconti...

"Oggi la Cina sta provando a diventare la potenza prevalente a livello mondiale nello sviluppo dell'intelligenza artificiale e c'è il rischio che la usi per i suoi fini di egemonia e di controllo sulle persone. Oramai esistono sistemi che consentono di schedare tutte le persone, di sapere tutto della loro vita. Sistemi di questo tipo in mano a un'autorità statale possono portare a condizionare completamente le vite degli individui. Lo Stato in base alla scheda personale concede un trattamento premium – migliori università, condizioni di lavoro vantaggiose e assistenza sanitaria – a chi è più affidabile e allineato, mentre riserva un trattamento di minor livello agli altri. È quello che fanno già ora le assicurazioni sanitarie negli Stati Uniti: schedano gli individui e in base ai dati concedono polizze più o meno valide. Questa deriva è rischiosa in un mondo dove sempre più Paesi guardano al modello cinese nel quale il successo economico conta più dei diritti. Oramai non c'è più bisogno di mandare il contestatore in un gulag...basta riservargli un'università peggiore e un'assistenza sanitaria di serie B e lo si emargina".

La tecnologia è destinata a dividerci?

"Il rischio è di avere una divaricazione dell'umanità non solo in termini economici, ma soprattutto tecnologici. Nel mio libro faccio l'esempio della zona di New York dove vivo. Vent'anni fa la novantesima strada era il confine tra East Side e zone pericolose. Oggi anche nelle zone una volta a rischio sono al sicuro, non rischio più di essere derubato, però in realtà resta una linea di confine, ancora più di prima: le statistiche sull'età media delle persone, infatti, variano, superando quella strada, di nove anni. E variano perché le persone della East Side possono accedere a migliori scuole, migliori ospedali, migliori occupazioni ma anche migliori tecnologie. Angelina Jolie oggi può farsi un esame del genoma che costa trentamila dollari e scegliere se fare un intervento preventivo che scongiuri il cancro alla mammella. Al di là delle considerazioni sulla decisione della Jolie di operarsi, rimane il fatto che lei può accedere a determinate tecnologie, mentre la massa no. L'Homo premium, privilegiato anche dalla tecnologia, nasce così".

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