Coronavirus. Ripetiamolo: coronavirus. Parola da record. All'inizio dell'esplosione del contagio - fa sapere Cedat 85 - è stata pronunciata una volta ogni minuto e mezzo su radio e tv italiani. Ed è così tuttora. Overdose di informazione? Un eccesso che rischia di far crollare l'interesse verso un'emergenza sanitaria così importante? Se lo chiedono in tanti, ma ecco cosa ne pensa un esperto di semiotica, Franciscu Sedda, professore associato nel dipartimento di Lettere, Lingue e Beni culturali dell'Università di Cagliari. "In una situazione così atipica e difficile l'esigenza di tutti è essere informati", premette il docente. "Si viene a creare un circuito perverso tra sovrabbondanza di notizie, voci e punti di vista che si scontrano anche in rete, polemiche che generano ansia e dubbi portando le persone ad avere ancora più informazioni per riuscire a districarsi nella selva di notizie". Man mano che i giorni passano, qualcosa è migliorato: "Almeno sul piano dell'autorevolezza: prima c'è stato un forte discredito della scienza e di coloro che avevano competenze in merito, ora si sta rivalutando la voce dell'esperto, del virologo", osserva Sedda. Miracoli del virus? "Anche nei media generalisti la nuova formula dei dibattiti e confronti, senza pubblico, fa sì che l'uno non parli sopra l'altro: un senso di responsabilità che mette in evidenza il merito di ciò che si dice più che il modo. Una dimensione diversa rispetto a quella che vede dominare l'utilizzo dell'urlo, dell'aggressività e della negatività: c'è un certo spirito di solidarietà, un sentimento che porta a far qualcosa di positivo, anche richiamando gli altri al rispetto delle regole per poter uscire da una fase straordinaria e cercando di valorizzare una comunicazione più positiva, con toni responsabili e autocontrollo". Anche se la polemica non tace del tutto, c'è uno sforzo nel raccontare in termini diversi quella che nell'immaginario è una catastrofe, anche elogiando i lavoratori della sanità, simboli di eroismo e abnegazione, assieme a tutti i volontari in prima linea. "Certo c'è anche rabbia verso chi non rispetta le regole e non dà credito alle voci dell'esperto, da cui ci si aspetta un indirizzo preciso da seguire", sottolinea Sedda che mette in guardia dalla dinamica della rete, difficile da monitorare per la quantità di interazioni.

Nuove abitudini. Dunque, vero è che il coronavirus si è impossessato delle nostre vite, influenzando i nostri comportamenti. Il linguaggio si è ormai focalizzato attorno ad alcuni vocaboli, contagio, epidemia, tampone, mascherina, isolamento e quarantena, ricorrenti nei discorsi di tutti, cittadini, giornalisti, venditori, docenti e studenti. La cosa curiosa è proprio questa. Oggi è normale che il primo gesto che si compia ancor prima di fare colazione è accendere la tivù, per essere aggiornati: quanti morti, contagiati e guariti. Numeri su numeri, valanghe di prescrizioni, vademecum con domande e risposte. Una fame di informazione che mai si era vista almeno per quel che riguarda l'Italia e un'isola come la Sardegna. Ogni giorno alle 18 l'aggiornamento televisivo della Protezione civile, appuntamento fisso con la tv nella maggior parte delle case. Ci si chiede però se non ci sia, in questo contesto quotidiano, il rischio di assuefarci al bombardamento di notizie finendo col dare meno peso alle precauzioni, come se l'eccesso di informazione ci possa rendere immuni al coronavirus. Ma tant'è.

La cronaca è concentrata sull'emergenza, che almeno una cosa l'ha fatta capire: i virus non arrivano più sui barconi dei migranti ma sugli aerei molto più velocemente, tanto da rimettere in dubbio ragionamenti che fino a poco tempo fa sembravano certezze. Ora l'Italia è tutta zona rossa, il virus si è rivelato molto democratico non escludendo nessuna regione, tutte in egual modo interessate dalle stesse misure restrittive.L'Europa stessa è ormai epicentro della pandemia.

I comici. Assodato che bisogna imparare a conviverci, con questo virus, tanto vale slegare le briglie alla satira e cominciare, perché no, a riderci sopra, senza perciò desensibilizzare le persone. Le battute sono un buon antidoto per lenire le sofferenze del popolo italiano, considerando i like e i messaggi che girano su WhatsApp, condivisi a suon di sorrisini e frecciatine contro il ricco nord. Di fronte al coronavirus la fantasia si è scatenata e piacciono le vignette sul web e sui social (come quella di un neonato che fa un gestaccio col gomito alla sua sequenza di starnuti o quella del bimbo che, informato dell'arrivo dello zio arrivato dalla Cina, scatta con un veloce dietrofront): aiutano a sdrammatizzare le angosce del momento anche le battute sull'amuchina (con tanto di video sul lavaggio delle mani con una mucchina). E' davvero così? "C'è una grande circolazione di video ironici - sottolinea il docente - forme per esorcizzare la drammaticità del momento, com'è tipico della cultura popolare: un modo per dimostrare insomma che c'è il controllo della situazione e si sa anche ridere della disgrazia alleviando le pene. Si rappresenta il pericolo e si stigmatizza un comportamento scorretto senza scendere a un livello di brutalità ma con ironia e intelligenza, fuori da quel contesto del tutti contro tutti". Tanti modi diversi di gestire le tensioni del momento. "E' una comunicazione più responsabile, che rimarca il ruolo sociale della creatività che diventa un collante per tutti noi fisicamente chiusi in un recinto". Senza dimenticare che l'informazione non deve arrivare dai comici ma dai canali istituzionali. Altrimenti il rischio è l'infodemia, su cui l'Oms ha messo in guardia i fruitori dei social.
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