“C’innamoriamo di minuzie, di riflessi in cui vediamo l’altra persona come pensiamo che nessuno l’abbia mai vista e mai la potrà vedere, e custodiamo questi attimi di unicità in forma di immagine, anche se negli anni sbiadisce; ma è a questa immagine che chiediamo aiuto, quando il nostro sentimento vacilla e dubitiamo di amare”.

Irene ha alle spalle un matrimonio finito, perché caduto nell’abitudine. È stata lei a scegliere la fine di quel rapporto, consapevole di essere stata infelice. Tutti i giorni, siede al solito tavolo di un bistrot, dove legge e mangia. Vuole stare sola, prima di incontrare l’uomo della sua vita. Ecco perché rifiuta le avance di tutti. Da quando ha lasciato il marito, ha smesso di divertirsi e di ridere: “È così che ci si perde per strada, che si diventa brutte copie di se stessi. Smussandosi, modificando il senso delle cose che si fanno (come ridere per non parlare, appunto), tradendo le proprie convinzioni o lasciando che l’altro le offenda o le svaluti, praticando la mansuetudine, considerando fisiologico, inevitabile e forse perfino giusto che il passare del tempo snaturi gli aspetti più autentici del carattere, ridimensioni gli interessi, spenga le passioni, i desideri e soprattutto il desiderio”. Con suo marito avevano smesso da tempo di cercarsi, non facevano più l’amore. Lui aveva smesso di guardarla e d’interessarsi, a lei e Irene aveva smesso di sentirsi bella. Era sfiorita solo per ripicca.

Nicola, l’altro protagonista, ha avuto una moglie che ha occupato tutto il suo spazio vitale, ma poi Licia è morta in un incidente: “E il peggio che ti può capitare, quando ti abitui a una persona soltanto, è di pensare di avere abbastanza mondo per essere felice, addirittura diventarlo, e così raccontarti che nel resto del mondo, tutto quell’altro mondo che non è lei, non vuoi neanche più andarci”. Nicola è rimasto solo, ma spera di potersi innamorare ancora. Prima dell’incidente, erano andati in un bistrot e lui, ora, ci ritorna puntualmente ogni giorno. Ogni sera, mette per iscritto gli sbagli con Licia: i litigi, le mancanze, tutte le volte in cui era stato zitto, invece di parlare; e lo fa per schedare i suoi errori e comprendere ciò che non avrebbe ripetuto col suo nuovo amore: “Il dolore e la felicità sono fatti soprattutto di cianfrusaglie, paccottiglia, ingombri da soffitta di cui non riusciamo a disfarci anche quando abbiamo smesso definitivamente di usarli ed escludiamo che ci possano tornare utili. Non siamo responsabili dei nostri sentimenti né del flusso che li causa o li alimenta e tutto sommato neanche delle nostre azioni, anche se poi dobbiamo risponderne”.

Irene non sa che Nicola è l’uomo di cui vorrebbe innamorarsi, perché anche lui siede in quel bistrot, ma in orari diversi; e Nicola non sa che, se dovesse vederla, riconoscerebbe subito che quella è la donna per lui. Una storia d’amore che sarebbe perfetta, se solo i due s’incontrassero.

“Mancarsi” è un libro di Diego de Silva, edito da Einaudi.

Questo libro ben descrive come la fine di una relazione possa essere sperimentata come un lutto, in quanto implica il dolore per la perdita della persona amata e la rinuncia a una progettualità comune. Il rimpianto per il passato, la speranza per il futuro, le abitudini che mantengono i legami, anche se insoddisfacenti.

Ricostruirsi significa anche fare i conti con se stessi, con le mancanze, i rimpianti, ma soprattutto con l’abbandono e la solitudine, che vengono affrontati spesso con rabbia e sensi di colpa. A volte, però, quella fine rappresenta l’inizio di una consapevolezza, che ci porta a comprendere che forse non eravamo fatti per quella persona e che ci stavamo semplicemente accontentando di una vita infelice, pur di non stare soli. È solo dopo aver sperimentato una buona solitudine e aver fatto pace con noi stessi che saremo veramente pronti per sederci su quel metaforico bistrot e aspettare che la persona giusta si sieda al nostro fianco.  

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro
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