«Mi trovo bene con la gente comune. Parliamo. Iniziamo a parlare del tempo e a poco a poco arriviamo alle cose importanti. Quando le fotografo non è come se fossi lì ad esaminarle con una lente di ingrandimento, come un osservatore freddo e scientifico. È una cosa molto fraterna, ed è bellissimo far luce su quelle persone che non sono mai sotto i riflettori».

Con queste parole il grande fotografo francese Robert Doisneau (1912-1994) raccontava la sua arte, quella sua sensibilità innata che gli permetteva di cogliere con uno scatto fugace in bianco e nero le difficoltà del quotidiano, la dignitosa povertà di molta gente, ma anche il divertimento dei bambini e la gioia degli sposi novelli.

Le sue fotografie - in mostra al Museo Diocesano di Milano fino al 15 ottobre, ma disponibili anche nel volume Robert Doisneau (Silvana Editore, 2023, pp. 176, 130 immagini) – sono una più suggestiva dell’altra. Ci aiutano a salire su una vera e propria macchina del tempo. Ritroviamo così Parigi e le sue banlieue tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta del Novecento. Ritroviamo le portinaie delle case parigine con i loro salotti carichi di ninnoli sui mobili, i bistrò dove gli operai trascorrevano le poche ore libere dal lavoro. Ci sono i volti dei negozianti e le insegne dei negozi, così come le immagini della Liberazione di Parigi da parte dei partigiani nel 1944. Le piccole storie di piccola gente, tanto adorate da Doisneau, si mescolano allora con la grande storia e con le immagini del mondo della moda scattate per la rivista Vogue, foto cariche di sapiente malizia per la volontà del fotografo di cogliere gli eccessi di un mondo che si prendeva – e si prende – troppo sul serio.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Scorrendo le immagini ci si rende conto che Doisneau con curiosità, amore, umiltà reinterpreta il quotidiano che ritrae, mescolando scatti catturati dal vivo ad abili messe in scena. Crea una sorta di “teatro del mondo” in cui i protagonisti si muovono con leggerezza, disincanto, perfettamente a loro agio di fronte all’obbiettivo che li scruta con umana partecipazione e non comune senso di appartenenza. Veramente Doisneau era un grande umanista, non solo perché poneva tutti gli esseri umani, dal piccolo al grande, dal ricco al miserabile, al centro del suo lavoro. Era umanista perché ogni sua fotografia è l’espressione di uno sguardo interessato, carico di empatia per il prossimo.

Uno sguardo umano in mezzo a tanta umanità. 

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