Luca Bianchini si confessa: "Ciao scuola, ci siamo tanto amati"
A Luca Bianchini, il comune di residenza dovrebbe rilasciare una carta d'identità in cui, più che il luogo e la data di nascita, certifichi la sua innata simpatia, l'apparente frivolezza, l'ironia contagiosa, la straordinaria empatia che riesce a stabilire con chi lo legge o ascolta.
Con un richiamo ai "segni particolari": il chiacchiericcio che trasforma in autobiografia sorridente, tra scoppi d'ilarità non privi però d'un pungente e concettuale intuito filosofico, frutto diretto di quell'intelligenza debordante che lo rende leggero e profondo nello stesso tempo.
Ed ecco il suo ultimo libro Nessuno come noi (Mondadori, 250 pagine, 18) che presenterà martedì prossimo a Cagliari alle ore 18.30 alla libreria Fozzi-Mondadori di via Farina 16.
Un romanzo in cui ricorda i suoi anni scolastici, in particolare la III Liceo, e il trio di amici, Vince, Cate e Spagna protagonisti anche di tante piccole fiammate e delusioni sentimentali: un attacco di nostalgia?
"Non volevo fare un romanzo tipo 'nostalgia canaglia' - anche se la nostalgia è un sentimento che mi piace - ma non avevo neanche voglia di fare il vecchio brontolone che dice 'stavamo meglio noi'. Perciò ho voluto incontrare i ragazzi di un liceo d'oggi quando ho deciso di scrivere il libro sul mio liceo. Quando mi sono presentato in classe per la chiacchierata, appena ho visto i ragazzi la sensazione immediata è stata quella di constatare che erano identici a come eravamo noi. C'era quello bello, quella brutta, quello brufoloso, quella timida, quella sudata e quella col capello unto: non mancava niente. Il bello della vita è che cambia poco e col passare del tempo forse peggiora tutto".
Nel raccontare e nel raccontarsi, lei è molto ironico. Perché questa forma di comportamento che sembra prendere tutto alla leggera?
"Uso l'ironia e cerco di essere un po' dissacrante perché mi piace molto ridere, ma poi rivolto tutto in malinconia, una condizione che mi fa stare bene. In ogni pagina del mio diario mi firmavo 'Luca per sempre', e questo è il bello e il brutto dell'adolescenza: l'amicizia è per sempre, l'amore è per sempre, ma anche quando finisce una cosa o litighi con un'amica - i sentimenti si assomigliano, perché l'amore e l'amicizia sono la stessa cosa - stai male e la sofferenza è simile alla malinconia che subentra ogni volta che scopri delle cose nuove".
Com'era l'ambiente scolastico in cui lei è cresciuto?
"Con i miei compagni ci sentivamo delle persone speciali, e pensavamo Nessuno come noi, perché a diciassette, diciott'anni ciascuno pensa di essere unico, e ognuno lo è stato. Io ero figlio di operai e vivevo a Nichelino, paesone proletario, e frequentavo il liceo a Moncalieri, una città vicina. C'erano i ragazzi bravi della periferia (io ero così così), e i ragazzi benestanti della collina che quasi mai erano bravi. Con un capannello di ragazzi e ragazze se non avevi la seconda casa in montagna - e la dovevi avere a Feltre o a San Sicario - non potevi parlare; la casa al mare invece dovevi averla ad Alassio o a Finale Ligure. Quando sono andato in gita a Londra, io avevo 150 mila lire per tre settimane; un mio amico 350 mila. Lui andava a comprare da Burberry, io guardavo. La vita è stata dura con me. Per questo ero attratto dai compagni ricchi e invidiavo il loro abbigliamento".
Il modo di vestirsi classificava le appartenenze sociali?
"Sì, allora venivi inquadrato in base a come ti vestivi. Anche adesso è così, ma allora molto di più. C'era un gruppettino di collinare e tutte indossavano capi firmati mentre io avevo una maglietta viola, scolorita sotto le ascelle per i tanti lavaggi, perché il sudore crea danni terribili. Tutti amavamo le marche e tutti le mettevano in mostra perché ogni epoca ha i suoi simboli. Pensate ad un ragazzo d'oggi che non ha l'ultimo modello di iPhone come il suo amico: si sente terribilmente sfigato".
Di chi si era innamorato al liceo?
"Ero innamorato di una ragazza più grande di un anno con un piccolo problema fisico di cui lei però se ne fregava, perché aveva tutti ai suoi piedi. E nel diario scrivevo: 'Oggi mi ha salutato. Io dico ciao, e lei mi ha risposto ciao'. E poi ho fatto un disegno. Trent'anni dopo ci siamo incontrati ancora in una rimpatriata scolastica generale e finalmente le dissi che l'amavo. Lei non commentò e cambiammo discorso. Dopo tre giorni mi arrivò un messaggio sul telefonino: 'Volevo dirti che mi ha molto colpito ciò che mi hai detto, perché io non mi ero accorta di nulla. Spero di vederti per offrirti un caffè e parlare della mia festa dei diciott'anni, e non solo'. Quello che ho compreso trent'anni dopo è che maschi e femmine vivono mondi paralleli incomunicabili.
Perché la gioventù di oggi sembra più superficiale?
"Secondo me perché hanno uno schermo che li separa dalla realtà, che è quello del telefonino e di Internet e ciò li rende apparentemente più coraggiosi nell'approcciare qualcuno perché anche se ottengono un rifiuto, si tratta di un contatto virtuale. Noi invece ci mettevamo la faccia e con i rifiuti ci siamo fortificati, mentre loro sembrano più fragili e più superficiali perché si mettono meno in gioco".
Francesco Mannoni