Fateci caso: a Natale si parlò molto del fatto che era Natale. Anzi, fu tutto un chiacchiericcio sul fatto che col Covid era un Natale triste, e però se vuoi più intimo, di certo meno commerciale eccetera. E così a Pasqua nessuno sorvolò sulla ricorrenza, e anzi trovavi in giro persone che senza battere ciglio declamavano: “Auguri di buona Pasqua!”. E alla Liberazione poi, accipicchia se si è parlato del fatto che era proprio la Liberazione che si festeggiava. Al Primo Maggio, invece, non va mica così. Lasciamo stare Cagliari, che c’è il Santo e nessun altro tocca palla. Ma almeno al Concertone, dirà un fesso, si parlerà del lavoro che festeggiamo. No: stavolta si parla di un tema importante come l’omofobia, un’altra di ambiente e via così. Sembra che il lavoro assomigli sempre più al sesso: per alcuni è una realtà, per altri una speranza e per altri ancora un ricordo, ma in società non è carino parlarne.

E anzi in certi ambienti neoperbenisti (quelli che si definiscono pragmatici per riassumere di aver rinunciato agli ideali) si parla del posto fisso coi sorrisetti scettici e gli occhi al cielo come un tempo quando si nominava la fedeltà coniugale. Certo, potevamo accorgercene già il 2 Maggio, ma ieri era la giornata della lotta all’omo-transfobia e bisognava aspettare, hai visto mai che invece parlano di lavoro. Come avrete notato, si è giustamente parlato di omo-transfobia.

Celestino Tabasso

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