In questo 2022 ricorrono i cent’anni dalla nascita di molti intellettuali e scrittori che hanno segnato l’Italia del secondo dopoguerra. Parliamo di Pier Paolo Pasolini, di Beppe Fenoglio e di un maestro della letteratura per ragazzi come Mario Lodi. Nel novero troviamo anche uno scrittore troppo spesso dimenticato ma che ha saputo raccontare e incarnare come pochi le contraddizioni e i chiaroscuri dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Parliamo di Luciano Biancardi, nato a Grosseto nel 1922, cantore arguto, ironico e caustico del Belpaese negli anni del miracolo economico, quel boom che trasformò la nostra Penisola da paese agricolo e tradizionalista in nazione industrializzata e moderna, grazie a una vera e propria sbornia improvvisa di benessere e ricchezza.

Il racconto di quegli anni frenetici viene affidato da Bianciardi al suo capolavoro, “La vita agra”, pubblicato nel 1962 e oggi riproposto in audiolibro nella lettura dell’attore Alessandro Benvenuti (Emons, 2022, anche in download).

L'audiolibro
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Romanzo ampiamente autobiografico, "La vita agra” racconta la vicenda di Luciano, bibliotecario di Grosseto che parte per Milano deciso a fare saltare in aria il “torracchione” dove ha sede una società mineraria. Il movente è un incidente accaduto anni prima in una miniera di proprietà della società, incidente in cui hanno perso la vita 43 minatori a causa del mancato rispetto delle norme di sicurezza. Giunto nel capoluogo lombardo, però, Luciano si rende conto di come fare un attentato al palazzo dei proprietari della miniera risolverebbe poco, non cambierebbe quasi per nulla il panorama sociale e umano che lo circonda. Si ritrova, infatti, immerso in un universo frenetico, disumanizzato, in cui tutti corrono, si affannano, lottano e si perdono e sono disposti a ogni cosa pur di garantirsi una posizione sociale oppure un posto di lavoro migliore. Pur di fare profitto e con i guadagni poter acquistare sempre più beni.

Come scrive Bianciardi, l’Italia del tempo sembra aver già fissato il proprio destino: “Chi non ha l'automobile l'avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore a ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tre apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l'asciugacapelli, il bidet e l'acqua calda. A tutti. Purché tutti lavorino, purché siano pronti a scarpinare, a fare polvere, a pestarsi i piedi, a tafanarsi l'un con l'altro dalla mattina alla sera”.

Il protagonista della Vita agra da un lato sente repulsione per questo mondo, vorrebbe farlo saltare per aria, come progettato per la torre della società mineraria. Dall’altro lato si sente attirato da questo universo di lustrini e luci come una mosca viene attratta dalla tela del ragno. Sente il desiderio sempre più forte di non sentirsi un outsider, ma di essere riconosciuto dal sistema come uno dei tanti, disposto a vendere l’anima per un nuovo modello di televisore o di radio a transistor.

Bianciardi esplora quindi le conseguenze umane e sociali del benessere italiano come solo Fellini ha saputo fare nel suo "La dolce vita”, amara metafora dell’evanescenza del boom italico. Lo fa con uno sguardo impietoso sulle debolezze prima di tutto della classe intellettuale nostrana a cui lui stesso sapeva di appartenere. Un ceto che a parole denunciava le storture del boom, ma nei fatti ne condivideva i vizi e i tanti piaceri materiali. Un ceto che amava troppo l’applauso e i riflettori della ribalta per andare realmente contro il sistema consumistico e mettere le “bombe”, ancorché metaforiche, per denunciare l’imbarbarimento di una società dove ogni cosa e soprattutto ogni persona avevano un prezzo.

Bianciardi era consapevole che l’indipendenza, il rifiuto all’integrazione portavano necessariamente l’intellettuale all’isolamento e fatalmente alla delusione. Visse sulla propria pelle questo senso di spaesamento che lo accompagnò fino alla morte, avvenuta a neppure cinquant’anni nel 1971 senza aver viste realizzate quelle parole che pose come una sorta di epitaffio proprio nel suo capolavoro: “La rivoluzione deve cominciare in interiore homine. Occorre che la gente impari a non muoversi, a non collaborare, a non produrre, a non farsi nascere bisogni nuovi, e anzi a rinunziare a quelli che ha”.

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