Hans Fallada ebbe un'esistenza travagliata sfiorante la tragicità, che non lo abbandonò mai nel corso della vita, nella Germania degli anni Venti, causa il tracollo degli Imperi centrali alla fine del primo conflitto mondiale. Lo salvò il proprio genio della scrittura, in particolare quel capolavoro che fu "E adesso, pover'uomo?", che ottenne acclamazioni internazionali. Quale morale fuoriesce dal romanzo? Quando un individuo, pur nella schietta onestà di fondo che emana, è schiacciato dalle avversità, dal voler tacere verità scomode, costretto a compromessi umilianti anche all'interno della famiglia d'origine, trova il coraggio di evadere e comprendere che solo la tranquillità interiore ed il calore del nuovo nucleo famigliare potranno lenire e risolvere le negatività che lo perseguitano.

Ha qualche attinenza l'esempio citato con la negativa esperienza quadriennale di Donald Trump? No, in apparenza. Ma è davvero così? Molti, anche nella nostra Italia dallo scrivente consultati, si chiedono chi governerà l'America. Il quasi 79enne Joe Biden non è ritenuto adatto al gravoso compito che lo attende. Si deve replicare ai sostenitori di Trump: la democrazia ha deciso così, tramite libere elezioni concluse con una risultanza chiara ed ineccepibile. La democrazia non è una scienza esatta, guai se lo fosse, ma è l'unica accettabile da ogni punto di vista: anche quando, e i "tifosi" trumpiani ben lo hanno evidenziato in vari organi di stampa, ritengano Biden incapace e inadatto, forse anche inetto.

Nemmeno Barry Goldwater, chi possiede una buona memoria lo rammenta, lo spauracchio repubblicano di decenni or sono, aveva lontanamente scalfito l'arroganza di Trump. I sondaggi erano farlocchi, sostengono coloro che evocano oggi sconcerto, delusione, rabbia. Si potrebbe obiettare: una certa America, quella dell'interno inscalfibile e profondo, era sicura di vincere, ritenendo la società in maggioranza orientata a identificarsi nel "nuovo corso", nei comportamenti pirotecnici di questo presidente così diverso dai precedenti repubblicani. Trump divenuto un simbolo da seguire, imitare, affinché l'americano medio potesse considerarsi una persona in spirito col tempo, alla quale nulla importa che il Presidente in carica sia un evasore fiscale conclamato, non denunciando lui alcuna dichiarazione esplicativa.

Ma ci sono colpe ben peggiori che i trumpiani hanno applaudito: l'odio nei riguardi dell'Unione Europea, la speranza di una sua disintegrazione lenta ma progressiva, dopo la fuoriuscita dell'UK da essa, con relativa creazione di un asse strategico America-Regno Unito. Siamo curiosi di verificare come reagiranno gli inglesi, col tempo, all'esautorazione di Trump.

Certo: l'omone dalla capigliatura sgargiante, adesso tendente al grigio, ha aumentato nel

quadriennio i propri sostenitori; ma al contempo, assai di più, folle multicolori ha prodotto l'asse fra Joe Biden e Kamala Harris, una signora di cui sentiremo parlare spesso, non una semplice controfigura.

Non è la prima volta che l'America ha sussulti negativi repentini; si pensi al maccartismo e alla povertà culturale da esso prodotto nel campo delle Arti. Lo scrivente, a tale proposito, evidenzierà un percorso identificativo degli eventi seguendo la Settima Arte fin dagli albori. Il "Cinema", in sostanza, è uno dei più fedeli testimoni del tempo che trascorre e degli eventi che produce nel suo incedere.

Per entrare nella rappresentazione dell'America bisogna rifarsi al monumentale "Nascita di una nazione", di David W. Griffith. È trascorso da allora più un secolo, ma nell'America odierna il termine "razzismo" permane indisturbato: il colore della pelle, e lo sarà ancora per molto tempo, è un grimaldello che grava come il piombo nello Stato più potente del mondo. Lo stesso Lincoln, tra l'altro, abolita la schiavitù, non ebbe difficoltà ad affermare la propria avversione verso il diritto di voto alle persone di colore.

Molte pellicole, in seguito, hanno addolcito l'immagine della mutua comprensione fra i due colori della pelle: fra le tante "La calda notte dell'ispettore Tibbs", di N. Jewison.

Come rappresentare nel Cinema la "solitudine" dell'individuo? Questo aspetto, di là da venire, da diversi punti di vista, potrebbe colpire addirittura Donald Trump. Due illuminanti esempi, fra le decine disponibili: "Mezzogiorno di fuoco", di Fred Zinnemann; "Viaggio a Tokyo", di Yasujiro Ozu.

Molti, troppi libri anche di autori con opposta ideologia hanno descritto, specialmente agli studenti, cosa sia stato in Italia il Ventennio fascista. Per lo scrivente, nessun dubbio: ad averlo rappresentato alla perfezione non è stato un testo, talvolta complicato da consultare, ma una stupefacente pellicola: "Una giornata particolare", di Ettore Scola, interpretata da quei due mostri che sono Marcello Mastroianni e Sofia Loren; all'interno di un anonimo condominio romano, quasi senza persone perché accorse a festeggiare Hitler in visita alla capitale, due persone, entrambe "sole" nel proprio vivere, hanno fatto capire come nessun altro l'unica dittatura che l'Italia abbia subìta nella sua storia.

Ma ci sono anche aspetti lieti: come individuare visivamente l'aspetto "fantastico", quindi irreale, della vita? Ecco pronti due assoluti capolavori "Orizzonte perduto", di Frank Capra e specialmente "Una donna nella Luna", di Fritz Lang. Un doveroso omaggio al gentil sesso, che diviene protagonista fra uomini in rivalità fra loro.

Oggi abbiamo la piattaforma Netflix: benvenuta, ma deve stare attenta. La crisi devastante che attraversa il Cinema sta contaminando anche lei. Troppe pellicole non convincenti, molte ad uso puramente commerciale. Per lo scrivente, finora solo un eccezionale capolavoro, indimenticabile: "Roma", di Alfonso Cuaron. Interpreti sconosciuti, come il magico Neorealismo italiano del dopoguerra, ma tanta incredibile analisi, senza enfasi alcuna, da parte del cineasta messicano nel descrivere il proprio paese in tempi difficili.

L'America profonda che ha esaltato Donald Trump è quella in maggior parte immutabile, intrisa di falso perbenismo, corruttela e pettegolezzi, evocati dalla scrittrice Grace Metalious, inimitabile nel rappresentare personaggi e mentalità torve e bieche. I nostri genitori e nonni videro la celeberrima pellicola "I peccatori di Peyton", trasposizione cinematografica del suo più famoso romanzo. Quel film coi suoi intrighi, rispecchia la comunità numerosa che ha votato Trump.

"Abbiamo vinto, scendiamo tutti in piazza a festeggiare, inutile continuare lo scrutinio dei voti, ringrazio la mia famiglia...". Così Donald urlò dopo le prime ore di spoglio. Sembra di sentirla adesso, ma è un trapassato remoto.

L'America è bloccata, nemmeno paragonabile, non sembri eresia dirlo, al dopo elezioni del 2000 fra George Bush e Al Gore, decise d'imperio per alcune centinaia di voti in Florida dalla Corte Suprema.

Quale scopo si prefigge Donald Trump, perpetuare negli anni a venire il dubbio, il torto subìto, le fantasiose ruberie intercorse?

Vorrei portare a sostegno di questa tendenza due esempi esplicativi nel campo del Cinema: cosa succede quando un individuo, studiando da vicino per finalità narcisistiche e di convenienza una realtà agghiacciante in un campo sconosciuto, si addentra volontariamente al suo interno per osservare "de visu" la quotidianità del materiale umano?

Il primo film lo ricordiamo tutti: "Qualcuno volò sul nido del cuculo", di Milos Forman, interpretato da quel guascone che è Jack Nicholson; ma è proprio il suo carisma, la sua bravura, il suo esibizionismo sfrenato a far dimenticare allo spettatore lo scopo perseguito.

Preferisco anteporre come pellicola uno dei capolavori del quasi sconosciuto Samuel Fuller, per noi cinefili senza limiti uno dei miti da valorizzare: "Shock Corridor" ("Il corridoio della paura"). Interpreti di serie B, bianco e nero spettrale con sequenze deliranti a colori. L'impatto è emblematico: "Whom God wishes to destroy, he first makes mad".

Applico l'allegoria unita alla metafora filosofeggiante che individua con freddezza il comportamento di una persona complessa.

Trump ha perso le elezioni, è consapevole, ma volendo raggiungere il traguardo più ambito, considerarsi "martire", rimanda ancora oggi la resa ufficiale.

È incappato in un "corridoio", stavolta non cinematografico, che riteneva di sua pertinenza, formato da Wisconsin-Michigan-Pennsylvania-Arizona-Georgia-Nevada, dimostratosi infido e fatale. Non potrà evitare di aver perduto irreparabilmente la ragione, come nel film Fuller evidenzia, con agghiacciante freddezza, verso il protagonista dilaniato, ma Trump per sempre subirà l'umiliazione della sconfitta.

Mario Sconamila - Finlandia
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