Doti vocali invidiabili  e un mondo di suggestioni comunicate attraverso una musica sospesa tra tradizione e modernità, che sfugge a qualsiasi classificazione o contenitore predeterminato, sono gli elementi distintivi di Daniela Pes. La cantautrice di Tempio Pausania è tornata in Sardegna in occasione della seconda edizione del Sa*Rock festival a Villa Siotto a Sarroch, che giovedì 20 l’ha vista protagonista. Tra tradizione sarda, elettronica, jazz e folk Pes ha debuttato il 14 Aprile con il suo album “Spira”, aggiudicandosi anche il premio Tenco 2023 come miglior opera prima. Nonostante la giovane età si è spinta in un terreno quasi inesplorato, creando un mondo enigmatico, fatto di suggestive esecuzioni vocali, cantate in una lingua inesistente, con pattern elettronici e linee di chitarra acustica. Tradizione, avanguardia e ricerca contraddistinguono questo primo lavoro creando un mondo sonoro molto definito, per quanto misterioso e visionario.

Che origini ha la sua passione per la musica? Direi che nasce dal mio nucleo familiare. Provengo da una famiglia di musicisti: mio padre suona tutti gli strumenti e ci ha sempre trasmesso questa grandissima passione molto naturalmente. Lo abbiamo sempre visto suonare, attorniato da strumenti. Parlo al plurale perché ho anche due fratelli, uno più grande che fa il compositore e uno più piccolo che è un appassionato di batteria.

Come ha preso la vittoria al premio Tenco 2023? Non mi aspettavo che un mondo come il Tenco potesse accogliere un universo come il mio a braccia aperte. Non lo davo affatto per scontato e ne sono molto felice, è una bellissima risposta ad un lavoro al quale mi sono dedicata con tutta me stessa negli ultimi 3 anni.

La sua voce e la sua musica sembrano sfuggire a qualunque tipo di classificazione, ma se potesse sceglierne uno a che genere si sentirebbe più vicina? La mia musica è un ibrido tra improvvisazione, ricerca, sperimentale e cantautorato. Ho seguito una formazione Jazz e di questo genere amo l’improvvisazione, l’approccio strumentale e vivo. Spira è il mio primo lavoro da solista e il primo avente una struttura e una natura diversa da un disco jazz. Anzi, di jazz c’è molto poco musicalmente se non qualche retaggio, qualche armonia e delle aperture. Ma non lo definisco un disco jazz. È un album di ricerca ma allo stesso tempo accessibile, molto comunicante e capace di arrivare a tante fasce di ascoltatori diversi. Questo ci ha stupiti perché onestamente avevo paura potesse non arrivare. Con questo lavoro, che non è altro che una ricerca personale e identitaria, mi sono esposta in maniera particolare e non convenzionale.

Perché la decisione di usare una lingua inesistente? Pensa che i messaggi delle sue canzoni risultino comunque chiari a chi ascolta? Non ho mai scritto in italiano e non ho mai pensato di farlo. Le mie domande erano sempre sul riuscire ad esprimere musicalmente in mio mondo. Scrivere in maniera convenzionale o utilizzare l’italiano limitava la mia espressione, gli accadimenti musicali che avevo in testa andavano ad essere mortificati  e sviliti con le parole. Ho deciso di non pormi il problema del senso delle stesse ma di andare ad abbracciare un suono senza preoccuparmi che il linguaggio fosse chiaro. Sul piano del contenuto riconosco non sia nullo perché qua e la c’è dell’italiano e gallurese arcaico, in mezzo a queste due, ci sono sillabe disarticolate che sentivo stessero bene li, le ho messe e interpretate e cantate senza chiedermi il perché. Sul piano del contenuto c’è una comunicazione, ma non da cantautrice pura italiana. Questo deriva dalla mia ricerca del suono e dall’utilizzo della voce come strumento musicale e di comunicazione. Ognuno può vederci dentro quello che vuole.

Che programmi ha per il futuro? Diciamo che ora mi sto godendo il frutto di questo lavoro che è giunto a compimento il 14 aprile, data di uscita di “Spira”. Non vedevo l’ora di tornare alla dimensione live, avevo il bisogno fisiologico di salire sul palco e viverlo, dopo 3 anni passati in studio a comporre, scrivere, arrangiare e produrre. Mi sto godendo la resa, la performance live che mi mancava molto e che sento essere, tra le tante, quella più mia. Anche se ovviamente già sto pensando a come proseguire il mio percorso artistico.

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