La lezione della colomba migratrice
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Oggi si parla molto di biodiversità a rischio, e questo a causa dell’impatto delle attività umane sull’ambiente e sugli esseri viventi che vi abitano.
Molti studiosi raccontano di un impatto così profondo da mutare profondamente l'assetto del nostro pianeta e mettere a serio rischio nel futuro l'esistenza stessa della vita sulla Terra.
Quello già chiaro e documentato è che oggi ci ritroviamo con un pianeta sempre più debole nei suoi equilibri mentre aumentano le minacce.
A questa situazione generale si sta aggiungendo la scomparsa dei cosiddetti "servizi naturali" a disposizione di tutti, servizi che ci causano una perdita economica a livello mondiale valutata in 50 miliardi di euro annui.
Perdiamo, infatti, principi per mettere a punto medicinali, perdiamo risorse naturali, perdiamo varietà genetica utile ad adattarci ai cambiamenti futuri, perdiamo terra coltivabile e foreste. Perdiamo poi specie animali a un ritmo così impressionante – circa 12 al giorno secondo i calcoli degli scienziati – che si sta già parlando di una sesta estinzione di massa per il nostro pianeta.
Sono usciti libri e articoli su questi argomenti. Ne ha parlato addirittura il papa nella sua enciclica ecologica Laudato si'. Eppure molti fanno orecchio da mercante.
Ebbene, ogni volta che qualcuno minimizza – o peggio ironizza alla Trump – sulla portata dell'azione dell'uomo sull'ambiente e sulle specie animali, forse vale la pena di offrirgli un caffè e raccontargli la storia della colomba migratrice americana.
Caccia grossa
Nel XVII secolo stormi immensi di colombe migratrici dominavano il cielo americano tra le coste dell'Oceano Pacifico, il Canada e i Grandi Laghi. Erano così tante e in gruppi tanto fitti che alcuni padri gesuiti così scrissero in un resoconto di viaggio del 1662-63: "Le colombe abbondano a tal punto che quest'anno un uomo ne ha uccise 132 con un solo sparo. Esse passavano continuamente in stormi così fitti e vicini al suolo, che a volte era possibile abbatterle a colpi di remi".
Esagerazioni da letteratura dei bei tempi andati, ma il tono non cambia negli scritti degli ornitologi dell'Ottocento.
Centinaia di milioni di colombe si spostavano, infatti, ogni anno alla ricerca di luoghi dove nidificare e dove nutrirsi. Quando si posavano occupavano aree vaste chilometri. John Audubon, grande illustratore della natura americana nell'Ottocento, raccontava che "l'aria era letteralmente piena di colombe, che oscuravano il Sole come una eclissi".
Qualcosa stava però già cambiando negli anni in cui venivano scritte queste parole.
Uomini provenienti da ogni parte del mondo cominciavano a occupare zone sempre più vaste del territorio americano. Aumentavano i campi coltivati che erano una vera manna per gli stormi di colombe. Gli agricoltori non rimasero però con le mani in mano. Si cominciò a sparare agli stormi prima con i fucili, poi con delle specie di cannoni costruiti apposta. Era una caccia semplice, dato che le colombe erano sempre in gruppo.
Gli uccelli morti, migliaia alla volta, servivano a nutrire i maiali fino a quando qualcuno si accorse che quella carne era prelibata e che ci si poteva anche guadagnare mandandola ai mercati delle grandi città della costa atlantica, come New York.
Fu l'inizio della fine perché la caccia divenne sistematica, spietata ed efficiente come è nello stile dell'uomo occidentale.
Fino all'ultima colomba
I movimenti degli stormi venivano segnalati di città in città grazie al telegrafo e allora migliaia di cacciatori, raccontano le cronache dell'epoca, imbracciavano i fucili, oramai a ripetizione e quindi ancora più distruttivi.
Gli stormi venivano falcidiati a colpi di arma da fuoco oppure si attendeva che si posassero sugli alberi per nidificare o riposare. Quindi di notte si dava fuoco agli alberi oppure si soffocavano le colombe con esalazioni di zolfo.
Migliaia di colombe rimanevano bruciate e anche i nidi venivano devastati, però l'importante era il risultato ottenuto con quel mix classico di inventiva, efficienza tecnica, programmazione, ferocia e miopia che tanto caratterizza l'uomo moderno…
Le conseguenze di questa sistematica mattanza? Se alla metà dell'Ottocento si ipotizza ci fossero nei cieli americani dai tre ai cinque miliardi – miliardi! – di colombe, già trent'anni dopo quasi tutte le colonie erano sterminate.
L'ultimo grande massacro avvenne nel 1878 nel Michigan dove vennero uccisi oltre un milione di esemplari. Nel 1881, sempre nello stesso territorio, una terribile grandinata distrusse i nidi e uccise i piccoli dell'ultimo stormo di una certa grandezza rimasto.
Siamo quasi alla fine della nostra storia, purtroppo: l'ultimo nido scoperto è del 1894, l'ultimo piccione ucciso allo stato selvaggio del 1899.
All'inizio del XX secolo rimanevano alcuni esemplari in cattività, negli zoo, ma faticavano a riprodursi. Erano colombe migratrici, abituate da sempre ai grandi spazi e ai grandi stormi, come si può dar loro torto se non si ritrovavano in prigioni di quattro metri per quattro.
Come recita con precisione la targa ricordo dello zoo di Cincinnati, all'una del pomeriggio dell'1 settembre 1914 moriva, all'età di 29 anni, Martha, l'ultima colomba viaggiatrice della storia.
Nel giro di un secolo un lavoro efficiente era stato portato a termine... e speriamo ci serva di lezione.