Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, la vita di Ulisse Savino, un reduce della milizia fascista, non ha più punti di riferimento. La caduta improvvisa del Fascismo lo ha disorientato, la scelta del re e di Badoglio di schierarsi con gli Alleati lo ha lasciato pieno di vergogna per quello che considera un tradimento nei confronti della Germania nazista. Ogni antica certezza sembra crollare e anche la compagna lo respinge, mentre la figlia semplicemente lo ignora. Solo la creazione della Repubblica di Salò fa rinascere in lui nuove speranze e lo spinge a entrare nelle file della Legione d’assalto Tagliamento, per poter affiancare i nazisti nella lotta contro gli Alleati. Ulisse è convinto in questo modo di dare nuovo senso alla propria esistenza e di contribuire a riscattare l’onore dell’Italia intera. Lo attenderà una realtà ben diversa, fatta di scontri con i partigiani e la popolazione che li sostiene e costellata di rastrellamenti, fucilazioni, violenze e soprusi di ogni sorta. Di fronte a quella che si presenta come una spietata guerra fratricida, le sue convinzioni cominceranno allora a vacillare e i suoi occhi prenderanno a guardare in modo diverso coloro che si battono per liberare l’Italia dal giogo del nazifascismo.

Romanzo incentrato su una dolorosa, ma convincente presa di coscienza della propria adesione a una causa sbagliata “L’ultimo soldato di Mussolini” (Newton Compton Editori, 2021, pp. 416, anche e-book) mostra una volta di più la capacità di Andrea Frediani nel costruire una narrazione coinvolgente senza venire meno alla correttezza della ricostruzione storica. Una correttezza fondamentale, a nostro parere, nel momento in cui si affronta un romanzo “misto di storia e di invenzione” per dirla alla Manzoni, ancora di più quando ci si confronta con le vicende italiane del tragico biennio 1943-45.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Proprio per la delicatezza dei temi trattati chiediamo ad Andrea Frediani cosa l’ha spinto a inoltrarsi in quel vero e proprio ginepraio rappresentato dagli eventi successivi all’armistizio dell’8 settembre 1943, abbandonando la storia dell’antica Roma a cui ha dedicato molti dei suoi romanzi:

“A me la storia piace tutta e già alla maturità mi diplomai con una tesina sul nazismo; se ho scritto di più su Roma antica è perché è ciò che più spesso mi chiede l’editore… In realtà è un po’ di tempo che desidero occuparmi di cose di cui dibatte la gente. L’anno scorso ho scritto Il bibliotecario di Auschwitz per dire la mia sull’Olocausto e controbattere il negazionismo sempre più imperante, mentre in questo caso vorrei partecipare al dibattito sul fascismo e sue responsabilità, che è tornato prepotentemente d’attualità”.

Come si è documentato per questo libro?

“Quando si tratta della guerra civile seguita all’armistizio dell’8 settembre, bisogna sempre partire da un testo fondamentale, un testo di riferimento: ‘Una guerra civile’ di Claudio Pavone, saggio che ha messo d’accordo un po’ tutti individuando tre forme di guerra nell’Italia del 1943-45: una guerra di liberazione, appunto, tra una parte degli italiani e i tedeschi, una guerra civile, tra partigiani e fascisti, e una guerra di classe, tra operai sfruttati dal regime di occupazione e padroni legati essenzialmente al profitto. Ho letto anche molta memorialistica, atti dei processi a carico dei membri della Legione Tagliamento, cui faccio appartenere il mio protagonista, e mi sono documentato sia sulla resistenza, sia sulla RSI sui più recenti volumi di Mimmo Franzinelli. Ma avevo anche bisogno di addentrarmi nella mentalità e nelle ragioni di chi ha aderito a Salò. Quindi ho consultato a lungo la ‘Storia della guerra civile’ di Giorgio Pisanò, un’opera tanto mastodontica quanto di parte, che ha comunque il pregio di presentare una ricchissima documentazione fotografica e documentale”.

Questo libro ha cambiato il suo modo di guardare agli eventi del 1943-45?

“Sì, direi proprio che qualcosa è cambiato. Ho sempre pensato che non si potesse parlare di guerra civile, ma solo di guerra di liberazione contro un regime di occupazione e i suoi collaborazionisti. Ma mi sono accorto, approfondendo l’argomento, che la realtà è molto più sfaccettata; spesso chi ha scelto la parte sbagliata è stato mosso dall’emotività, non dal ragionamento. Chi ha avuto la casa bombardata o i parenti uccisi dagli angloamericani, chi si è sentito abbandonato dal re e dai generali, chi aveva il terrore della rivoluzione comunista, chi era stato plagiato dalla propaganda del Ventennio… aveva più motivi per continuare a combattere gli angloamericani che per lottare al loro fianco, e si sarebbe alleato pure col diavolo, pur di vendicarsi. In quei giorni di caos seguiti all’8 settembre, non era facile orientarsi e capire quale fosse la parte giusta”.

Chi è Ulisse Savino?

“Ho chiamato Ulisse il mio protagonista perché la sua vicenda è un vero e proprio viaggio, non solo da una regione all’altra nei luoghi cui viene assegnata la sua unità, ma anche e soprattutto interiore, attraverso gli orrori della guerra civile. Un viaggio che lo porta a una progressiva presa di coscienza facendogli cambiare visione e posizione. Gli ho attribuito molte mie caratteristiche, in realtà, tanto che, se non fosse per il fatto che parte convintamente fascista, lo si potrebbe considerare il mio alter-ego”.

Perché ha deciso di raccontare questo pezzo di storia italiana dal punto di vista di chi stava dalla “parte sbagliata”?

“Proprio per capire perché tanta gente ha scelto di aderire alla parte sbagliata. Se avessi scelto un partigiano, non avrei potuto scandagliare l’animo di un fascista dotato di spirito critico e analizzare dall’interno le dinamiche che hanno guidato il pensiero e le azioni dei repubblichini, le loro motivazioni e i loro obiettivi. Se vuoi descrivere a fondo qualcosa, devi farlo ‘da infiltrato’…”.

Non ha avuto paura di passare per revisionista o peggio?

“Potrebbe definirmi revisionista solo chi si ferma al titolo; e in effetti, per non correre neanche questo rischio, io volevo chiamare il libro Guerra senza onore, espressione che poi è finita nel sottotitolo. Chi lo legge, capisce presto che si tratta di un libro di denuncia, il cui scopo è suscitare indignazione, non compiacimento. Se un fascista convinto lo acquista perché pensa che glorifichi il fascismo sulle prime si compiace di ciò che ci trova, poi però si infastidisce e magari rinuncia a finirlo. C’è già chi mi ha scritto invitandomi provocatoriamente a scrivere anche un libro che parli delle stragi dei partigiani…”

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