La giustizia nelle canzoni di Fabrizio De Andrè
Al Dipartimento di Giurisprudenza di Sassari una lezione aperta a tuttiPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«Questa canzone è del 1961. È la prima che ho scritto (da solo) e mi ha salvato la pelle; se non l'avessi scritta, probabilmente, invece di diventare un discreto cantautore, sarei diventato un pessimo penalista». Lo ha ricordato Fabrizio De Andrè citando "La ballata del Miché". Sarà uno dei brani del Faber sul quale si discuterà venerdì 24 gennaio alle 15 nell'Aula Mossa del Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Sassari.
La lezione è aperta a tutti, non solo agli studenti, e conclude il corso di Diritto Penale 2024-25. Introduce e modera Gian Paolo Demuro, ordinario di Diritto penale dell'ateneo turritano. Due le relazioni in programma "La giustizia penale secondo De Andrè" di Giuseppe Losappio, ordinario di Diritto Penale dell'Università di Bari, e "La ballata del Miché o la Giustizia per i colpevoli" di Tommaso Gazzolo, associato di Filosofia del Diritto dell'Unversità di Sassari.
Certo nel caso del Miché della ballata, la pena di 20 anni era giusta "perché un giorno aveva ammazzato chi voleva rubargli Marì" ma sarà interessante sviscerare anche altri brani, dove De Andrè mostra una sua visione che invitava i giudici (ma anche la borghesia e tutti noi) a rifiutare la neutralità astratta, staccata dai valori e dalle vicende personali, invitava a guardare oltre la colpa, come cantato in "Città vecchia: "Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo, se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo".