"L'idea era uscita dalla testa del ministro in persona. Era, da qualsiasi lato la si esaminasse, un'idea felice, se non perfetta, sia per quanto riguardava gli aspetti meramente sanitari del caso sia per le implicazioni sociali e le conseguenze politiche. Finché non si fossero appurate le cause, o per usare un linguaggio adeguato, l'eziologia del mal bianco, come, grazie all'ispirazione di un assessore fantasioso, l'indecorosa cecità aveva cominciato a essere designata, finché non si fossero trovare la terapia e la cura, chissà, magari un vaccino per prevenire l'insorgenza di casi futuri, tutte le persone che erano diventate cieche, nonché quelle che vi fossero entrate in contatto fisico o in vicinanza diretta, sarebbero state radunate e isolate, in modo da evitare ulteriori contagi, i quali, nel verificarsi, si sarebbero moltiplicati più o meno secondo ciò che matematicamente si suole denominare come progressione geometrica… In sostanza si trattava di mettere in quarantena tutta quella gente, secondo l'antica prassi ereditata dai tempi del colera e della febbre gialla, quando le imbarcazioni contaminate o solo sospette di infezione dovevano rimanere al largo per quaranta giorni… Potrebbero essere quaranta giorni, ma anche quaranta settimane, o quaranta mesi, o quarant'anni, bisogna però che non escano. Adesso rimane da decidere dove li metteremo".

Non è la conferenza stampa della Protezione civile, quella che ogni sera alle 18 a reti unificate dà il bollettino di contagi, guarigioni e morti da coronavirus, e neanche un annuncio del Presidente del Consiglio dei ministri sulle restrizioni alle libertà individuali pensate per arginare la pandemia. No. E' la pagina numero 38 del romanzo Cecità scritto nel 1995 dal premio Nobel per la letteratura José Saramago, portoghese. Nelle ultime settimane da più parti si sono ricordati i Promessi sposi e si è andati a rileggere il capolavoro di Manzoni che raccontava la peste del Seicento. Ma questo romanzo, che Carlo Bo ha definito un viaggio dentro l'uomo, una favola, una metafora della nostra condizione umana, sembra scritto nelle giornate del Covid 19.

In una città non meglio identificata che potrebbe essere qualunque città del mondo, un uomo è alla guida dell'auto e aspetta il verde al semaforo. All'improvviso si accorge di non vedere più nulla. Pensa a un disturbo passeggero invece presto scoprirà di avere una malattia sconosciuta che porta alla cecità totale. Un mal bianco che avvolge come in un mare di latte. Ed è soltanto il primo caso di un'epidemia che colpisce pian piano l'intera città e poi l'intero Paese. Il morbo è particolarmente aggressivo, la paura tra la popolazione è grandissima e allora i nuovi ciechi vengono rinchiusi in una struttura dove sono costretti a vivere nel più totale abbrutimento da coloro che non sono stati contagiati e temono di esserlo. Sembra la caccia all'untore che si è vista anche in questi tempi: il grande scrittore riesce a immaginare e a descrivere i comportamenti legati alla paura pur non avendola mai vissuta. Ecco perché le cronache del Covid 19 riportano a quel romanzo attraverso cui Saramago denuncia mirabilmente la notte dell'etica in cui il mondo è sprofondato. Il ministro di Cecità usa parole che potremmo sentire oggi in televisione o sui sociali attraverso i video dei sindaci che non riescono a convincere i propri concittadini a restare a casa: "Il governo è perfettamente consapevole delle proprie responsabilità e si aspetta da coloro ai quali questo messaggio è rivolto che assumano anch'essi, da cittadini rispettosi quali devono essere, le loro responsabilità, pensando anche che l'isolamento in cui ora si trovano rappresenterà un atto di solidarietà verso il resto della comunità nazionale".

Alla fine niente sarà più come prima, proprio come si dice oggi, senza però dare un significato preciso alle parole ma nella consapevolezza che la pandemia ci sta cambiando, per sempre. "E' già invertito l'ordine delle cose, un simbolo che quasi sempre è stato di morte ora diviene un segnale di vita".

Saramago ha immaginato esattamente quello che sarebbe successo venticinque anni dopo: non poteva pensare anche ai canti dai balconi ma quasi. "Quella sera ci furono di nuovo lettura e audizione, non avevano altra maniera di distrarsi, peccato che il medico non fosse, per esempio, un violinista dilettante, che dolci serenate si sarebbero allora potute sentire in questo quinto piano, i vicini invidiosi avrebbero detto: Quelli o gli va bene la vita o sono degli incoscienti e credono di poter sfuggire alla sventura ridendosene della sventura degli altri".

Sventura che finirà, come si spera finirà la pandemia del 2020. Che qualcosa ci lascerà. "Perché siamo diventati ciechi? Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione. Vuoi che ti dica cosa penso? Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che vedono. Ciechi che pur vedendo non vedono".
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