Intraprendere un percorso di fecondazione assistita non è mai semplice. Le donne che lo fanno si trovano spesso a fronteggiare una condizione di solitudine e devono confrontarsi con l’angoscia di non diventare mai madri, di non fare parte del tessuto sociale in cui vorrebbero vivere e di non riuscire a rendere nonni i propri genitori.

Il volume "Invidia del pancione” (Erickson, 2021, pp. 352) vuole proprio essere d’aiuto per quelle donne che decidono di affidarsi alla procreazione medicalmente assistita, proponendosi come una guida per affrontare le emozioni, anche negative, che accompagnano la ricerca di un figlio. Autrice del volume è Beatrice Corsale, psicologa e psicoterapeuta, a cui chiediamo prima di tutto quali sono le emozioni negative che accompagnano la scoperta di non poter avere figli e di dover quindi, per realizzare il proprio desiderio di maternità, fare ricorso alla procreazione assistita:

“Innanzitutto, c'è una sensazione di incredulità di fronte alla diagnosi di infertilità, perché concepire un figlio è ritenuto naturale, quindi facile da realizzare per qualunque coppia. Nel momento in cui si presenta una diagnosi di infertilità, le coppie vengono quindi colte alla sprovvista, per quanto in molti casi sospettassero qualcosa del genere. C'è una sorta di choc, con tutta una serie di emozioni che vanno dall'iniziale negazione, alla tristezza, al dolore per un sogno che temono che non si realizzerà mai. Poi ci sono altre emozioni che vanno dalla rabbia all'imbarazzo, all'invidia nei confronti di chi riesce ad avere bambini. Si è portati a credere per gli altri tutto sia molto semplice quando invece basta avere un confronto per capire che non si è i soli a non riuscire ad avere un figlio naturalmente”.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Dopo queste emozioni iniziali come si fa a non infilarsi in un vicolo cieco dominato dalla negatività?

“A volte si entra in un circolo vizioso di pensieri negativi credendo che quello sia un modo per trovare una via di uscita alla situazione; si rimugina su quello che è stato, su scelte diverse che si potevano compiere, su fatti che sarebbero potuti andare in modo diverso e invece…Rimuginare sul passato difficilmente porta a dei risultati. Meglio riflettere più obiettivamente sulla situazione cercando di trovare una soluzione più pratica, più concreta. Ci sono varie tecniche per interrompere la ‘ruminazione mentale’, tecniche che però funzionano nel momento in cui la persona comincia a rendersi conto degli svantaggi del continuo rimuginare”.

Ce ne illustra una?

“Una delle strategie che può essere usata è quella del problem solving, per cui avendo in mente l'obiettivo che si vuole raggiungere, il problema che si vuole risolvere, si possono ipotizzare una serie di possibili soluzioni, facendo un elenco senza porsi dei limiti. Possono venire in mente anche soluzioni creative, alcune magari anche bizzarre, e solo alla fine si elimineranno quelle non praticabili per valutare quelle possibili. In questo modo possono emergere idee e soluzioni a cui in precedenza non si aveva pensato”.

Nel libro si parla molto dell’importanza per la donna di prendersi cura di sé stessa. Perché è tanto importante?

“Prendiamo in considerazione la situazione di cui parliamo: quando una donna ha una diagnosi di infertilità e si sottopone a una procedura clinicamente assistita spesso quello diventa il fulcro di ogni energia, di ogni azione quotidiana. È come se la donna non contasse più niente se non nella prospettiva di diventare madre. Questo alimenta ansia, stress ed emozioni negative e la persona si sente con minori energie da dedicare al progetto. Prendersi cura di sé stesse significa concedersi di fare tutto quello che fa bene a sé stesse. Non esiste solo il percorso di fecondazione assistita: continua a esistere una quotidianità, altri affetti, continua a esistere soprattutto la donna protagonista della vicenda e quindi è bene che porti avanti i propri interessi, le passioni…magari con meno tempo a disposizione, con meno possibilità di prima, ma è bene che non si dimentichi di sé. Va benissimo mantenere anche una vita sociale in cui confidarsi con qualcuno e condividere quello che si sta vivendo, perché il supporto sociale può essere molto utile”. 

Il partner in che modo può aiutare una donna che intraprende un percorso di questo tipo?

“È fondamentale che i partner procedano il più possibile allineati quando si porta avanti un percorso di fecondazione assistita. È chiaro che agli inizi possono esserci punti di vista diversi però è importante che i due protagonisti siano aperti l'uno nei confronti dell'altra, senza timore di essere giudicati o non compresi e che comunichino quelli che sono i propri desideri e i propri timori. A volte ci sono anche emozioni negative nei confronti del partner, per scelte che riguardano il passato: è bene però che la coppia cerchi sempre un modo di comunicare. Inoltre, nelle coppie che affrontano il percorso di procreazione assistita si verifica spesso quella che viene chiamata la ‘trappola emotiva’”.

Di cosa si tratta?

“Le donne, in molti casi, richiedono una partecipazione emotiva, un’empatia e un appoggio morale che il partner non riesce a dare perché ha magari un approccio più pratico alla questione. La donna allora tende a sentirsi poco compresa e la coppia rischia di allontanarsi mentre è fondamentale durante il percorso avvicinarsi, venirsi incontro”.

A volte la ricerca di un figlio diventa accanimento. Cosa fare perché questo non accada?

“Per esempio, ci sono casi in cui la coppia è informata del fatto che le possibilità di successo della fecondazione assistita sono molto basse e nonostante questo insiste con tentativi che sono onerosi dal punto di vista fisico, emotivo e anche economico. In questi casi c’è il rischio che la coppia perda il contatto della realtà e agisca emotivamente, d’impulso per superare la frustrazione di fronte a un desiderio che non si realizza. Meglio quindi, quando le possibilità di riuscita della fecondazione sono basse, porsi a priori dei limiti oltre i quali non andare. Nella fase iniziale, infatti, c’è maggiore lucidità rispetto al percorso che si vuole intraprendere, una lucidità che a volte viene meno dopo vari tentativi falliti”.

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