Il mare è il luogo in cui, quattro miliardi di anni fa, i primi microrganismi unicellulari hanno "imparato" a vivere e riprodursi. Ed è lì, in quel brodo primordiale, che si sono differenziati finché, in epoche ben più recenti, si sono affacciati alla terraferma e le hanno colonizzate. L'ultimo erede di questa storia è l'uomo. Un essere composto per il settanta per cento da acqua, il cui embrione cresce e si sviluppa per nove mesi in un ambiente liquido.

L'uomo, nel suo rapporto con il mare e nel suo tentativo continuo di scoprirne i suoi più reconditi segreti, ripercorre a ritroso il suo cammino filogenetico verso i suoi progenitori acquatici e ontogenetico verso la sua vita intrauterina. Sta forse qui, e solo qui, il rapporto inscindibile tra la vita e l'acqua, tra l'uomo e il mare.

Si perde nel tempo, la lunga storia delle imprese subacquee. Nei secoli, il tentativo di indagarne i suoi misteri, l'ignoto. Un viaggio tra realtà e fantasia, tra immaginario e verità.

Ci furono uomini che tuffandosi completamente nudi strappavano al mare le conchiglie di madreperla. "Gioielli" d'acqua ritrovati poi intarsiati negli scavi archeologici che indagavano la sesta dinastia di Tebe del 3.200 avanti Cristo. E indicazioni ancora più antiche arrivano dai recuperi in Mesopotamia e datati 4.500 avanti Cristo. Poi ancora resti di animali e di cibo di indiscussa provenienza marina tornarono alla luce durante le indagini degli archeologi in molti siti terrestri. Ecco, sta qui la conferma che l'uomo, anche in passato, aveva fatto della subacquea un lavoro per garantirsi la sopravvivenza e il sostentamento di intere popolazioni.

Fu Aristotele, considerato il primo vero naturalista scientifico, a raccontare di una speciale tecnica usata dagli antichi Greci per poter respirare sott'acqua. Racconta, Aristotele, di una canna cava, il "lebeta", con la quale gli uomini potevano scendere sotto la superficie del mare e restare in contatto con l'aria. Il greco non si sofferma sufficientemente sull'argomento, così le nostre attuali conoscenze scientifiche fanno dubitare sulla veridicità della notizia. Il nostro organismo non sarebbe infatti in grado, per la differente pressione che agisce sull'uomo immerso e quella di superficie, di insufflare aria attraverso questa lunga canna. A meno che anche i contemporanei di Aristotele non fossero capaci apneisti al pari dell'uomo moderno o come il mitico Glauco, formidabile pescatore di spugne.

E che dire di Alessandro Magno che, stando alle fonti storiche, riuscì a resistere sott'acqua, per tre giorni e tre notti, rinchiuso dentro una botte rifornita d'aria dalla superficie. Un tempo interminabile che gli permise di osservare la fauna marina e descriverla con minuzia di particolari.

Donne Ama giapponesi (Foto A. Piras)
Donne Ama giapponesi (Foto A. Piras)
Donne Ama giapponesi (Foto A. Piras)

La storia dell'immersione è anche cronaca di guerre. Narra Erodoto da Alicarnasso, il greco considerato da Cicerone "il padre della storia", di quei tuffatori che 3.500 anni fa distrussero la flotta di Serse. E poi Scyllias e sua figlia Cyna - era il 480 avanti Cristo - che nuotando sott'acqua riuscirono a tranciare i cavi d'ormeggio della flotta persiana. Tucidide testimoniò di subacquei ateniesi che nel 415 avanti Cristo segarono i pali antisbarco nel porto di Siracusa.

Sono le parole scritte nel "De re militari" dello storico Vegezio a descrivere le attrezzature e le gesta dei tuffatori romani, gli Urinatores, sommozzatori ante litteram muniti di un cappuccio di pelle con prolunga affiorante in superficie o di un sacco elastico ricavato dallo stomaco degli agnelli, reso beante dall'aria in esso contenuta.

Dopo Roma la storiografia ufficiale subisce una battuta d'arresto. Esplode l'iconografia fantastica. Il mare diventa mondo infernale, abitato da mostri divoratori di uomini e navi. L'inesplorato scatena l'immaginario collettivo e gli abitanti degli abissi personificazioni di demoni.

Nel XVII° secolo, grazie alle scoperte scientifiche e alle teorie di Torricelli e Pascal sulla fisica dei gas, la subacquea subisce un notevole impulso. Il tedesco Klingert realizza il primo casco metallico da palombaro. Ma solo molti anni dopo, con la lavorazione della gomma, nasce il primo vero scafandro da palombaro.

È ancora una volta un tedesco, Augusto Siel, a elaborare una moderna attrezzatura per l'immersione. Unisce metallo gomma, assembla una tuta con un casco collegato con la superficie tramite un lungo tubo per il passaggio dell'aria compressa, e apre la strada verso il fondo del mare, consentendo al palombaro di lavorare con tranquillità. Da lì si parte.

Cousteau e Gagnan (Foto A.Piras)
Cousteau e Gagnan (Foto A.Piras)
Cousteau e Gagnan (Foto A.Piras)

Da quel momento inizia la corsa verso attrezzature e apparecchiature sempre più sofisticate. Nascono i cassoni pneumatici, camere di ferro poggiate sul fondo del mare e caricate d'aria compressa. I lavoratori subacquei operano all'asciutto ma pur sempre in immersione. Le regole della decompressione sono ancora piene di lacune e non mancano gli incidenti embolici, le cosiddette "malattie dei cassoni". Molti gli incidenti, tanti i morti. La medicina ufficiale è ancora all'oscuro di tanti fenomeni fisiologici, non sa dare risposte adeguate. Paul Bert, medico del tempo, viene tacciato di follia per le sue eccezionali intuizioni sulle responsabilità dell'azoto presente con altissime percentuali in atmosfera (ben 78 per cento della miscela aria) e respirato dai palombari.

Riprendendo le tesi di Bert, John Aldane elabora per la prima volta le tabelle di decompressione contribuendo a scrivere una pagina fondamentale sul fronte della sicurezza.

Saranno il comandante Cousteau e l'ingegner Gagnan a collaudare il primo respiratore autonomo ad aria compressa. Il sub si libera del suo rapporto stretto con la superficie. È il 1943.
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