C’è un tesoro sul fondo del mare del Golfo degli Angeli, un museo archeologico fatto di relitti, antiche navi, cumuli di anfore e vasellame prezioso. E ancora legni possenti che il fango e la sabbia hanno preservato per duemila e passa anni. E poi oggetti di bordo che i naufragi hanno rovesciato sott’acqua e la sabbia ha poi inghiottito salvandoli dal degrado e dai tombaroli subacquei sempre pronti al saccheggio.

Fenici, punici, romani, aragonesi. E angora inglesi, francesi, spagnoli. Chiglie e ordinate di tanto in tanto riaffiorano. Magari per una mareggiata che scava il fondale del sottocosta liberandole. È allora che si scoprono, appaiono alla vista dei sub e diventano oggetto di indagine per gli investigatori del passato, gli archeologi con muta e maschera.

Centinaia di tuffi hanno permesso agli archeosub di scoprirli. Un piccolo grande tesoro che rappresenta comunque una minima parte di ciò che lo scrigno-mare davanti a Cagliari, davanti al suo porto, ma anche le acque tra Capo Teulada e Capo Carbonara custodiscono.

La mappa dei tesori archeologici nel porto di Cagliari (immagine concessa)
La mappa dei tesori archeologici nel porto di Cagliari (immagine concessa)
La mappa dei tesori archeologici nel porto di Cagliari (immagine concessa)

Le indagini e i pochi cantieri di scavo avviati dalla Soprintendenza sono poi stati interrotti per mancanza di fondi, ma nonostante questo gli archeosub sono riusciti a raccogliere dati preziosi, indizi capaci di svelare i segreti dei relitti sommersi, le loro origini, la provenienza. Informazioni scovate tra i legni, le ordinate e le chiglie di legno, le tecniche costruttive degli scafi, ma anche indagando tra gli oggetti di bordo riaffiorati dal fango o dalla sabbia, esaminando le anfore e i contenitori, anche i cannoni che in alcuni casi erano presenti nei siti sommersi.

È la storia che riemerge dal mare, lo stesso mare che quelle navi avevano solcato e che poi le tempeste avevano fatto naufragare trasformando i velieri e i mercantili in relitti. Tra questi anche imbarcazioni ben più recenti come la nave inglese o quelle francesi del 1793 di cui il Golfo degli Angeli custodisce diverse testimonianze.

È il 2005 quando i subacquei si tuffano a ridosso del molo Sabaudo. Indagini obbligatorie per verifiche la presenza di emergenze archeologiche a ridosso della banchina che l’Autorità portuale deve modificare, ampliare. Fu proprio l’Authority a mettere a disposizione un capannone, ex magazzino merci estere per depositare eventuali reperti che non tardarono a riemergere dal fango e tornare in superficie. «Una sorta di “pronto soccorso” per anfore, vasellame, ceramiche che ben presto riempirono scaffali e spazi disponibili», ricorda l’archeosub Ignazio Sanna. Centinaia di anfore, manufatti di ceramica, monete e tanti altri reperti. Oltre un migliaio. Un tesoro che impose la modifica dei lavori e la correzione del prolungamento del molo Sabaudo per non incidere sul sito sommerso che ancora dovrà essere indagato a fondo. Nelle immediate vicinanza altre emergenze, un altro relitto di epoca romana del IV secolo avanti Cristo.

A nord-ovest del molo Ichnusa, per esempio, spuntò un relitto del II secolo dopo Cristo, mentre tre relitti riemersero sul versante opposto della banchina risalenti al II secolo dopo Cristo e al III secolo avanti Cristo. Poi altre scoperte. E poi relitti di epoca romana ma anche i resti di una nave basca del XIV secolo dopo Cristo.

Un’imbarcazione, quest’ultima, che da sola potrebbe giustificare importanti finanziamenti per una vera campagna di scavo. Intanto per la rarità. «Di relitti simili – avverte Ignazio Sanna – ne sono stati rinvenuti solo tre in tutto il bacino del Mediterraneo. Oltre a quello di Cagliari un altro nel mare di Barceloneta e davanti alle coste della Provenza».

Anche il relitto inglese del XVII secolo costrinse i progettisti a “spostare” il tracciato del molo di sopraflutto del porto peschereccio in costruzione a Sant’Elia. La nave aveva molti segreti da svelare. Come il carico di lastre di ardesia sistemate “a coltello” nella stiva. I reperti vennero esaminati al microscopio e mostrò similitudini con i materiali del Nord della Spagna, anche se la stessa ardesia veniva estratta anche in Galizia

e Liguria. Sotto la sabbia anche un sestante per la navigazione in Oceano e una minuscola pipa di fabbricazione inglese.

Adesso si apre un nuovo capitolo per i reperti fino ad oggi custoditi nel Molo Sabaudo. Il capannone è stato concesso alla Marina militare dall’Authority, mentre si sono liberati nella zona di Su Siccu altre strutture già affidate alla Soprintendenza.

Non sarà solo un deposito di materiali archeologici ma un vero e proprio laboratorio aperto dove il tesoro sarà custodito, recuperato, reso fruibile. «A Su Siccu – assicura la soprintendente Monica Stochino – avremo la possibilità di realizzare un deposito-laboratorio vivo, dove i materiali potranno essere studiati e immediatamente trattati in caso di nuovi recuperi per evitare il degrado, ma anche resi fruibili da scolaresche, visitatori e turisti».

L’archeologia subacquea potrà così diventare patrimonio condiviso, grazie anche a un impegno diffuso (come è stato spiegato nei giorni scorsi durante un convegno su mare e città) di Soprintendenza, Authority e amministrazione comunale.

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