Se si cerca in Internet il nome di Carlo Saronio compaiono immediatamente le informazioni relative al tragico epilogo della sua vicenda. Saronio, infatti, morì nelle prime fasi del suo rapimento avvenuto a Milano il 14 aprile 1975. La famiglia, una delle più ricche del capoluogo lombardo, venne poi a lungo tenuta all’oscuro della morte, costretta a pagare un riscatto milionario e poi obbligata ad attendere l’impossibile ritorno a casa del giovane, il cui corpo venne ritrovato solo anni dopo. Una vicenda estremamente drammatica quella di Carlo Saronio, avvenuta in un periodo in cui il nostro Paese era letteralmente flagellato dalla piaga dei sequestri di persona (furono oltre 480 tra metà anni Settanta e la metà degli anni Ottanta) ed era immersa nella stagione del terrorismo. Una vicenda che però offre l’occasione a Mario Calabresi per raccontarci qualcosa di più non solo su Carlo Saronio, ma soprattutto sull’Italia spietata degli anni Settanta.

Il risultato è Quello che non ti dicono (Mondadori, 2020, pp. 216, anche e-book), un libro emozionante e sofferto nato da una semplice domanda rivolta all’autore da Marta, la figlia dello sfortunato protagonista di questa storia: "Mi aiuti a scoprire chi era mio padre? Non l’ho mai conosciuto, ma è sempre con me".

Carlo Saronio, il padre di Marta scomparve, infatti, nel 1975 quando lei non era ancora nata, risucchiato nel gorgo del terrorismo che aveva cominciato a insanguinare l’Italia. Marta per anni non ha mai fatto domande, immersa in un faticoso silenzio. Poi ha voluto sapere di questo giovane morto a ventisei anni, che viveva sospeso tra due mondi inconciliabili, quello benestante della sua famiglia di origine e quello degli ideali di rivoluzione che coinvolgevano tanti giovani del tempo. Un giovane diventato suo malgrado protagonista di una storia feroce. Ma perché la vicenda di Carlo Saronio può essere solo definita con questo aggettivo? Lo chiediamo a Mario Calabresi: "Prima di tutto perché Carlo Saronio venne tradito dai suoi amici, dalle persone con cui condivideva gli ideali rivoluzionari. E venne tradito con feroce spregiudicatezza. Le persone che organizzarono il sequestro erano le stesse che avevano condiviso con Carlo un importante tratto di strada. A un certo punto decisero di farlo diventare un ‘oggetto’, da sfruttare ed espropriare. In quegli anni andavano di moda gli espropri proletari. Si andava in un negozio, si portava via quello che si voleva e non si pagava. Allo stesso modo si poteva espropriare una famiglia di un affetto o uccidendo una persona oppure sequestrandola. Insomma, nella vicenda di Carlo Saronio c’è tutta la feroce spregiudicatezza e la disumanità a cui può arrivare la fede in una ideologia".

Feroce è la storia di Carlo, feroce è l'Italia e soprattutto la Milano di quegli anni

."Leggendo le cronache di quel periodo, come ho fatto preparando il libro, non si può che rimanere impressionati dal grado di violenza che attraversava il nostro Paese e soprattutto una città come Milano. C’era il terrorismo, c’erano gli scontri di piazza, le bombe che provocavano stragi e una malavita scatenata che compiva rapine e sequestri. Poi la malavita non è che sia scomparsa: solo si è dedicata ad attività meno pericolose e più remunerative come spacciare droga. A quel tempo però imperversava nelle strade".

Eppure, quegli anni sono passati alla storia anche come un'epoca di grande vitalità. Conta solo l'effetto nostalgia?

"Furono anni terribili, ma anche di grande creatività, non si può negarlo. Nei giorni in cui Carlo Saronio venne rapito gli italiani andavano a vedere Profondo rosso di Dario Argento oppure il primo Fantozzi nelle sale cinematografiche. Sono gli anni della disco music, delle prime giunte di sinistra a Milano e Torino. Sono gli anni del referendum con cui gli italiani confermarono la legge sul divorzio. Insomma, fu un’epoca di rinnovamento e cambiamento, attraversata però da una violenza che oggi fatichiamo a immaginare".

Da dove arrivava tutta quella violenza?

"L’Italia, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, aveva conosciuto una grande spinta propulsiva che era durata circa 25 anni e che quindi alla fine degli anni Sessanta si era esaurita. Il vero boom economico c’era stato, però, negli anni Cinquanta. In seguito, aumentarono i problemi, le tensioni sociali, le diseguaglianze. Queste problematiche deflagrarono in un paese come l’Italia che era molto conservatore e statico, un paese in cui da decenni governava sempre lo stesso partito, la Democrazia Cristiana. In questo contesto alcune delle forze che volevano il cambiamento si convinsero di poterlo attuare solo con la rivoluzione, una rivoluzione violenta. Ed è interessante scoprire che molte di quelle forze provenivano dall’ambito cattolico, avevano in origine tratto ispirazione dagli ideali di cambiamento promossi da papa Giovanni XXIII e da papa Paolo VI".

Al di là del contesto sociale, come dobbiamo leggere la vicenda personale di Carlo Saronio?

"A mio parere il libro offre due piani di lettura. Nel primo c’è la vicenda di Marta, una donna che non ha mai avuto un padre e che desiderava conoscerlo, e di Carlo, un ragazzo che non ha fatto in tempo a diventare padre. Un ragazzo che viveva un immenso senso di colpa per tutti i privilegi e la ricchezza di cui aveva potuto godere. Carlo Saronio voleva espiare questo suo peccato originale e lo fece in tanti modi: aiutando gli altri, mortificandosi, avvicinandosi agli ambienti della sinistra rivoluzionaria. Alla fine, venne distrutto da questo suo percorso di espiazione".

E la seconda chiave di lettura?

"Riguarda un periodo storico, quello degli anni Settanta, sul quale c’è stata molta rimozione, molta omertà. Mi chiedo sempre quante siano le persone che hanno avuto in qualche modo a che fare con atti di violenza di quegli anni e non hanno mai detto nulla. Come mai questo silenzio?".

Si è dato una spiegazione?

"Probabilmente gli anni sono passati, queste persone sono diventate mogli e mariti, genitori, nonni. Hanno fatto carriera e hanno sentito l’esigenza di proteggere la loro nuova esistenza. Meglio rimuove quel periodo, oppure ricordare con una certa nostalgia gli ardori della gioventù".

C’è un messaggio universale nella vicenda di Carlo Saronio?

"Credo di sì. Pensiamo a quello che è accaduto a Marta. Nessuno gli aveva parlato mai di suo padre. Silenzio assoluto. Alla fine, lei ha voluto però sapere. Tutto questo ci dice che ognuno di noi si può adeguare a tollerare violenze, rimozioni, anche per molto tempo. Poi però scatta qualcosa. Allora quella persona che ha sempre taciuto o tollerato dice ‘no’: vuole sapere, chiarire. Perché quello che non ti dicono, prima o poi te lo vai a cercare".
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