C'è una storia strana dietro l'invenzione della dinamo. Una storia che si dipana sull'asse Pisa-Parigi-Cagliari-Villacidro, fatta di intuizioni, di idee, di brevetti rubati e, forse, di personaggi dimenticati. E anche di riconoscimenti non dati. Ed è, forse, il caso di partire proprio da questo: secondo tutti i testi italiani a inventare la dinamo fu Antonio Pacinotti, fisico nato a Pisa nel 1841, che proprio a Cagliari mise a punto la versione più sofisticata della sua intuizione.

Anche se non si direbbe a giudicare dal ricordo che ha lasciato in città: intitolazione del liceo scientifico a parte (creato nel 1923, fu prima dedicato al generale Carlo Sanna), di lui si sono ricordati soltanto nel Dopoguerra quando nacque il quartiere di San Benedetto; un riconoscimento, tutto sommato, timido dal momento che Pacinotti deve condividere il lungo rettilineo che unisce piazza Galilei e via Sant'Alenixedda con Giacomo Leopardi, Enrico Lai ed Enrico Costa.

Eppure Pacinotti meriterebbe importanti riconoscimenti (anche se postumi). Perché, se in Italia nessuno dubita del fatto che sia stato lui a inventare la dinamo, in Francia la paternità fu data a Zénobe-Théophile Gramme. Questa parte della storia merita di essere raccontata: nel 1860 (tredici anni prima di arrivare a Cagliari), Pacinotti, basandosi sul "principio di Faraday", costruì la "macchina elettromagnetica" (quella che, in seguito, venne chiamata "anello di Pacinotti"). Cinque anni più tardi, generoso come tutti gli scienziati dovrebbero essere, raccontò la sua invenzione in un articolo sul "Nuovo cimento". Non solo: durante un viaggio in Francia spiegò minutamente la sua intuizione a Gramme. Il quale pensò bene di brevettarla nel 1879; il brevetto di Pacinotti arrivò due anni più tardi.

Protestò contro quella che definì usurpazione, supportato anche dall'intervento dell'industriale tedesco Wilhelm Siemens (il fondatore del ramo inglese della società di famiglia). Inutilmente. Per i francesi, l'inventore della dinamo era e continuerà a essere Gramme.

Ma che cosa ha che fare Cagliari con Pacinotti? Nonostante l'amarezza, il fisico proseguì i suoi studi anche dopo il 1873, anno in cui divenne docente di Fisica nell'Università cittadina. A Cagliari, tra l'altro, conobbe e sposò, il 19 aprile 1882, la diciannovenne Maria Grazia Sequi Salazar, morta di parto, insieme al primogenito, il 25 febbraio dell'anno successivo. Da docente universitario dell'ateneo cagliaritano, continuò a studiare le macchine a induzione, apportando importanti e ingegnose modificazioni al modello originale. Migliorò le prestazioni al punto di tentare di realizzare macchine ad alta tensione. Non è un caso che una delle tre dinamo costruite da Pacinotti si trovi al museo di fisica di Cagliari (le altre due sono al museo degli strumenti per il calcolo di Pisa) e allo Science museum di Londra. In città è conservato anche il tornio a pedale, ottenuto per consentirgli di costruire le sue macchine e per non sentirsi, come aveva scritto al rettore, esiliato (condizione superata poco dopo quando, conosciuta la futura moglie, esitò a lungo prima di accettare di tornare a Pisa).

Sin qui l'asse Pisa-Cagliari-Parigi. E Villacidro che cosa c'entra in tutto questo? Secondo una voce che gira nel centro del Medio Campidano, Pacinotti avrebbe rubato l'idea della dinamo a un concittadino, Gennaro Murgia. Voce, ovviamente, infondata dal momento che Pacinotti ebbe l'intuizione quando era a Pisa. Molto probabile, anche quasi certo che Murgia abbia avuto un ruolo importante nei successivi miglioramenti apportati alla macchina. A testimoniarlo il fatto che un prototipo della dinamo si troverebbe, secondo le voci che circolano in città, proprio da quelle parti.

Chi è Gennaro Murgia? In tanti lo conoscono perché lui, dottore in Chimica farmaceutica, inventò il "Villacidro Murgia". Nato nel 1861, frequentò il liceo a Cagliari. E, iscrittosi all'Università, divenne allievo di Pacinotti. Non un allievo qualunque: il fisico pisano apprezzò talmente tanto quel giovane da nominarlo suo assistente. Ma quella laurea e quel titolo di perito fisico-chimico doveva essere messo a reddito.

Così, Murgia, dopo essersi sposato con Anna Correlli, aprì una farmacia a Muravera. Ma i guadagni non erano sufficienti. E qui, finalmente, entra in gioco Villacidro. Perché la giovane moglie era figlia di un notaio di Villacidro e la coppia decise di trasferirsi in quel centro dove Murgia aprì due farmacie e un laboratorio di analisi chimico-minerarie visto che, in quegli anni, l'attività estrattiva in quella zona era particolarmente florida. Il resto della storia? La vicenda del "Villacidro Murgia" merita, eventualmente, un altro racconto.
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