Per fare la facciata dell'edificio sono stati utilizzati 23 colori diversi e 36 mila mattonelle di ceramica cotta, messe in senso verticale, una accanto all'altra, così da dare un effetto ottico sorprendente: da ogni angolo si osservi la struttura, una sorta di parallelepipedo adagiato su un prato, dà effetti cromatici differenti. Parliamo del Museo Brandhorst a Monaco di Baviera, uno dei grandi, bellissimi musei della città, inaugurato il 18 maggio di dieci anni fa nella Kunstreal (la zona dei musei) e realizzato dallo studio di architettura Sauerbruch-Hutton. Coniugi collezionisti Il museo ospita la raccolta (oltre 1200 opere) di arte moderna e contemporanea costruita nel tempo dai coniugi Brandhorst, Anette e Ugo. Per il suo decimo compleanno il museo ha scelto di festeggiare con un titolo che racconta tutto dello spirito che lo anima: "Forever young". Ecco allora le opere di Warhol, Haring e Cy Twombly, i principali protagonisti di un viaggio straordinario. Ma non i soli: il direttore del Museum Brandhorst, Achim Hochdörfer, ha dimostrato una particolare attenzione per la scena artistica in cui sono protagoniste donne come Laura Owens, Monika Baer.

La grande libreria realizzata da Damien Hirst per custodire 27.639 pillole (Foto C.Pinna)
La grande libreria realizzata da Damien Hirst per custodire 27.639 pillole (Foto C.Pinna)
La grande libreria realizzata da Damien Hirst per custodire 27.639 pillole (Foto C.Pinna)

Una donna mecenate A ben guardare è stata proprio una donna la vera mecenate dell'istituzione che negli anni ha collezionato un patrimonio di 1200 opere. Anette, scomparsa venti anni fa, aveva sposato in seconde nozze Udo Brandhorst, un dirigente delle assicurazioni RheinLand; ma era lei ad avere un robusto patrimonio sul quale poter contare per costruire una collezione così ampia e raffinata, che custodisce tra i suoi tesori tutte le illustrazioni dei libri di Picasso. Anette era la nipote di Hugo Henkel, chimico, industriale, padrone di un impero che produce ancora oggi saponi. "Forever Young" Se l'involucro dell'edificio è sorprendente, l'interno è un caldo, ampio ambiente, costruito su tre piani dove legno chiaro e bianco danno al visitatore un senso di grande armonia: benvenuti a "Forever Young", la mostra curata da Patrizia Dender. Un racconto che si sviluppa attraverso 250 opere di 44 artisti, molte delle quali sono nuovi acquisti. L'esposizione si muove su tre punti cardine, pop art, identità e pittura contemporanea e disegna un arco che va dai primi anni Sessanta fino ad oggi. «Siamo un museo di arte contemporanea - spiega il direttore in un piccolo opuscolo celebrativo dell'anniversario - con la pretesa di vivere una costante ricerca dell'attuale e di sapere che cosa è il "brand new"» (il nuovo di zecca, ndr). Non è un caso che l'opera del pittore e fotografo statunitense Ed Ruscha, un grande triangolo con su scritto "Really Old", evocativo di qualsiasi suggestione il visitatore ci voglia leggere, trionfa sulla parete che guarda le scale, diventando una sorta di viatico. Tre tematiche Dunque, tre tematiche principali, ciascuna a sé stante, ma comunque collegata alle altre. Il primo "racconto", al pian terreno, è dedicato alla parte scura del pop, quella parte politica poco esplorata di quest'arte così esplosiva. Il grande protagonista è ovviamente Andy Wahrol, seriale (vedi il pannello dedicato a Elvis Presley) ma anche aggressivo nel suo autoritratto in bianco e nero in cui sembra un gatto terrorizzato. Il museo possiede oltre 120 lavori dell'artista americano che come nessun altro ha influenzato, e ancora oggi influenza, l'arte contemporanea. Per capire la parte politica della pop art ecco le foto di Wahrol: riproducono quelle dei giornali che documentano gli scontri tra poliziotti bianchi e dimostranti di colore. Oppure la serie dedicate a "Ladies and Gentlemen" in cui sono ritratti travestiti di colore. Ma dell'anima politica parlano anche le opere di Ed Ruscha e Richard Avedon.

Un particolare di “In This Terrible Moment We are Victims of an Environment That Refuses to Acknowledge the Soul” di Damien Hirst (Foto C.Pinna)
Un particolare di “In This Terrible Moment We are Victims of an Environment That Refuses to Acknowledge the Soul” di Damien Hirst (Foto C.Pinna)
Un particolare di “In This Terrible Moment We are Victims of an Environment That Refuses to Acknowledge the Soul” di Damien Hirst (Foto C.Pinna)

Il secondo grande "racconto" è ospitato nei sotterranei e si interroga sulle forme d'arte condizionate dalla realtà. Se lo chiede "Deep Social Space" dell'americano Cady Noland (1989), una sorta di inventario dell'immondezza prodotta dai bianchi statunitensi: lattine accartocciate, tracce di barbecue, la bandiera americana. In questa tematica si inseriscono le opere di Damien Hirst come "In This Terrible Moment We are Victims of an Environment That Refuses to Acknowledge the Soul" del 2002, dove 27.639 pillole sono ben allineate sugli scaffali di un'enorme libreria per medicine. Pittura e tecnologie digitali Il terzo e ultimo "racconto" esplora la pittura contemporanea che viene messa in relazione con il continuo sviluppo delle tecnologie digitali come per esempio i lavori del tedesco Gerhard Richter, che copia su tela foto di giornali in bianco e nero, oppure quelli di Albert Oehlen, tedesco anch'egli, che sviluppa una pittura astratta con programmi digitali. Nel segno del Brand new!
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