L'opera "Lo schiavo" di Antonio Carlos Gomes è stato il titolo di apertura della stagione lirica e di balletto 2019 firmata dal Sovrintendente Claudio Orazi.

Un grande successo di cui sta parlando tutto il mondo del melodramma e la critica specializzata a livello internazionale per una prima esecuzione assoluta in Italia che ha visto uno sforzo della Fondazione Teatro Lirico di Cagliari grazie al sostegno e alla collaborazione di partner prestigiosi come il Teatro So Pedro di San Paolo e il Festival Amazonas de Opera di Manaus.

Anche l'Ambasciatore brasiliano in Italia, Antonio Patriota, ospite del Lirico in una delle rappresentazioni, si è complimentato per un'impresa culturale senza precedenti.

Tra i protagonisti del primo cast, già molto nota e apprezzata a livello internazionale, è la soprano Elisa Balbo.

Protagonista di opere verdiane e pucciniane su importanti palcoscenici italiani ed europei, la giovane soprano è considerata una delle cantanti più interessanti della sua generazione.

Ha lavorato in teatri quali l'Opera di Roma, la Fenice di Venezia, l'Arena e il Filarmonico di Verona, il Ravenna Festival, il Comunale di Modena, il Giglio di Lucca, il Teatro Grande Rubinstein Rimsij-Korsakov di San Pietroburgo, il Festival Rossini di Wildbad e tanti altri. Attiva anche a livello concertistico si è esibita con la Luciano Pavarotti Foundation a New York e a partire dal settembre 2016 ha preso parte ad una tournée di concerti in Europa, Stati Uniti e Medio Oriente al fianco di Andrea Bocelli.

L'abbiamo incontrata prima dell'ultima rappresentazione in programma questo pomeriggio, domenica 3 marzo, alle ore 17.

Elisa Balbo al Poetto (foto L.M.)
Elisa Balbo al Poetto (foto L.M.)
Elisa Balbo al Poetto (foto L.M.)

Oggi va in scena l'ultima recita. Ci racconta qualcosa di quest'opera?

"Lo Schiavo è la penultima opera di Gomes, compositore brasiliano, che voleva portare l'attenzione sul tema della schiavitù a lui contemporanea, con un dramma lirico ambientato nel '500. Nasce così una storia d'amore quasi impossibile tra un conte portoghese e una bella schiava (Ilara) che può avere un lieto fine solo con il tragico sacrificio del capo della tribù indigena (Iberé, che era stato imprigionato e divenuto schiavo) che si immola per amore di lei e riconoscenza per il conte magnanimo che una volta lo aveva salvato.

Si tratta di un'opera unica, che non si può collocare all'interno di una corrente ben definita dagli stilemi operistici europei del tempo. Si ritrovano echi di varie tradizioni, da Wagner a Verdi fino ad arrivare a momenti quasi operettistici. In questo contesto si inserisce proprio la Contessa di Boissy, il mio personaggio, ovvero l'antagonista di Ilara, anch'essa innamorata del Conte e che libera gli schiavi. Con questo suo atto generoso il compositore intendeva celebrare la reggente Isabella, alla quale dedicò l'opera, e che nel 1888 promulgò la "Lei Aurea" per far abolire la schiavitù in Brasile".

E il suo personaggio?

"Musicalmente diciamo che la prima volta che ho aperto lo spartito sono rimasta sorpresa perché non si capiva per quale soprano fosse scritta la parte: colorature, sovracuti, frasi molto liriche, pianissimi, fortissimi orchestrali sul registro medio, frasi gravi sotto il rigo. Una bella sfida insomma questo ruolo che poi ci siamo divertiti a definire un 'bigino' per soprano: tutto quello che un soprano dovrebbe saper fare concentrato all'interno di un solo atto di venticinque minuti!

Teatralmente la Contessa è una donna di potere, fascino che non riesce a far pace col fatto che Americo non contraccambi le sue attenzioni. Il taglio registico di Davide Garattini è molto interessante perché mette in luce la sua sfaccettata natura di donna, con le sue contraddizioni e le sue ipocrisie dettate dal rango che la vedono oscillare tra la volontà di liberare gli schiavi e il suo aristocratico sentimento di superiorità".

Aveva già lavorato a Cagliari?

"No, è la prima volta in assoluto e spero con tutto il cuore sia la prima di una lunga serie. Ho trovato una città bellissima e accogliente, con un fermento culturale davvero invidiabile, ed un pubblico attento ed entusiasta e una città".

Conosce la Sardegna?

"Non conoscere la Sardegna è un peccato mortale. Le ricchezze naturalistiche e culturali di questa terra la rendono uno dei posti più belli del mondo a mio parere. Oltre che alle mie 'incursioni' da turista, avevo già cantato in Sardegna, a Sassari per la precisione, al mio debutto come Liù nella Turandot pucciniana. Con questo Schiavo posso dire che lego anche i miei ricordi di questa regione a successi personali di natura artistica".

Nonostante la giovane età, la sua carriera ha conosciuto momenti di grande teatro in Italia e all'estero. Uno dei ricordi più belli?

"Questa è una domanda difficilissima! Potrei citare il debutto nel massacrante e monumentale ruolo Anna Erisso nel Maometto II di Rossini, che non mi aveva fatto dormire per 40 giorni. Non avevo mai cantato Rossini nella mia vita e approcciarmi al compositore con un'opera del genere era stato un gesto tra il coraggioso e l'azzardato, ma alla fine della prima il Maestro Fogliani, che mi aveva voluto nella sua produzione, mi disse 'abbiamo vinto la scommessa!'. Un altro ricordo, tra i più emozionanti e dolci, che non potrò mai dimenticare, è quando, dopo una recita di Otello, mentre eravamo ancora sul palco a sipario chiuso dopo gli applausi, la Signora Cristina Muti mi ha abbracciato forte e a lungo e mi ha detto che non solo avevo reso grande la mia Desdemona col canto ma che ero una vera attrice. Ho ancora le lacrime agli occhi dall'emozione se ci penso".

Ha dei modelli tra le grandi interpreti del passato e di oggi da cui trae spunto?

"Il mio amore per l'opera lirica è nato con l'amore incondizionato per le interpretazioni di Renata Scotto, una delle cantanti attrici più incredibili. Ho passato anni a divorare suoi dvd e dischi e il mio unico rimpianto è di non averla mai potuta ascoltare live. Un'altra grandissima cantante che siede nell'Olimpo delle interpreti è sicuramente Mariella Devia, l'icona del belcanto".

Oggi nelle scuole di musica è più richiesto il canto moderno rispetto al canto lirico. Cosa ne pensa?

"Credo che sia normale. Io stessa mi sono avvicinata al canto attraverso la musica pop, che forse è più intuitiva e di più largo consumo. Credo anche che lo studio del canto lirico non sia per tutti, visto che richiede molta, moltissima disciplina, studio, concentrazione, energia e devozione. Tuttavia, credo anche che molto spesso i ragazzi non sappiano neppure dell'esistenza e della bellezza del canto lirico, come fosse qualcosa di lontano e vagamente museale e per questo non lo richiedono. Ovviamente non c'è nulla di più lontano dalla verità, ma sta anche a noi artisti cercare di comunicare con le generazioni del 2000 per far scoprire che il canto lirico ha qualcosa di magico. Pensare di andare a scavare tutte le possibilità della nostra voce e perfezionarne l'uso in modo tale da poter raggiungere un'amplificazione naturale che fa superare masse orchestrali e corali, che permette di mettere in scena drammi cinematografici solo con l'uso del proprio corpo, credo abbia qualcosa di assolutamente magico e unico".

L.P.
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