In questi giorni le immagini provenienti dall’Afghanistan hanno riempito gli schermi degli smartphone e dei televisori e Kabul e dintorni hanno riconquistato le prime pagine dei mezzi di informazione come non accadeva da quasi un ventennio. A colpire l’immaginario sono state le immagini del drammatico ponte aereo con cui i governi occidentali hanno evacuato il territorio afgano cercando di portare in salvo chi era più esposto alle vendette dei Talebani. Allo stesso tempo ha colpito la facilità con cui le milizie integraliste islamiche hanno ripreso il potere in Afghanistan. Ma veramente quello che è accaduto è stato così sorprendente e inatteso? Evidentemente no, dato che già un anno fa lo storico militare Gastone Breccia, profondo conoscitore delle questioni afgane, aveva dato alle stampe un saggio dal titolo e dal sottotitolo molto indicativi: “Missione fallita. La sconfitta dell'Occidente in Afghanistan” (Il Mulino, 2020, pp. 176, anche e-book).

A Gastone Breccia chiediamo allora le principali ragioni del fallimento dell'Occidente in Afghanistan.

“L’elenco non è breve. Il fallimento nasce, prima di tutto, dall’illusione di poter calare dall’alto un nuovo sistema politico, nuove abitudini, nuovi valori in una società in gran parte tenacemente tradizionalista. Ma nasce anche dall’incapacità di individuare i giusti interlocutori afgani. E nasce soprattutto dalla mancanza di un chiaro obiettivo strategico dopo la fase iniziale della guerra: una volta sconfitti i Talebani nell’autunno del 2001, cosa siamo rimasti a fare? Nation building, a ‘costruire una nazione’? O soltanto a garantire la sicurezza del governo ‘amico’? Combattevamo per dare la caccia ai superstiti di al-Qa’ida o per difendere i civili afgani dagli attacchi dei terroristi?”.

Gastone Breccia (foto concessa)
Gastone Breccia (foto concessa)
Gastone Breccia (foto concessa)

Come mai in vent'anni di guerra non si è riusciti a indebolire il pericolo talebano?

“Rispondo con le parole di Sir Richard Dannatt, capo di Stato Maggiore britannico dal 2006 al 2009, partendo da un quesito: per cosa si combatteva nelle regioni controllate dai talebani? Se lo scopo era garantire la sicurezza della popolazione e favorire lo sviluppo, le azioni intraprese erano controproducenti: l’arrivo delle truppe occidentali aveva reso molto più difficile la vita della gente e provocato numerose perdite tra i civili. Se si trattava di uccidere gli insorti per scoraggiare il diffondersi della resistenza armata contro le forze della NATO e il governo di Kabul il bilancio era anche peggiore. Come ha detto Sir Richard Dannatt ‘molte delle persone che stavamo ammazzando erano in realtà semplici contadini a cui i leader talebani avevano messo in mano un AK-47. Una specie di Talebani part-time, non molto ben addestrati al combattimento. Ne uccidevamo un numero enorme: ma questo non ci rendeva particolarmente felici, perché eravamo consapevoli del fatto che ogni volta che eliminavamo uno di loro, stavamo in realtà alimentando l’insurrezione’. È il punto fondamentale: nel breve periodo, e con le limitazioni note – non poter intervenire nelle retrovie talebane in Pakistan, ad esempio – ‘uccidere talebani’ non significava indebolirli, ma rafforzarli”.

Militarmente si poteva fare di più per evitare il disastro che si è visto nelle scorse settimane?

“Direi di sì. C’è stata una sopravvalutazione della capacità di resistenza dell’esercito afgano, e quindi si è pensato di avere più tempo per organizzare l’evacuazione da Kabul. Poi, una volta superata la sorpresa iniziale, l’airlift – il ponte aereo – è stato condotto a termine in maniera efficiente”.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Ma che fine ha fatto l'esercito regolare afgano?

“L’Afghan National Army era un guscio vuoto, lo sapevano tutti, compresi i nostri militari che avevano addestrato per anni le reclute afgane. Ogni anno, dal 2015 in poi – da quando, di fatto, è stato chiaro che li avremmo abbandonati – il livello di perdite dell’esercito regolare era del 30% all’anno: quasi tutti disertori. Basterebbe questo... Aggiungo: da alcuni mesi il venir meno dell’appoggio occidentale aveva provocato il tracollo delle strutture logistiche delle forze armate di Kabul. Non c’erano più benzina, pezzi di ricambio, munizioni; gli specialisti addetti alla manutenzione dei mezzi terrestri, degli elicotteri e degli aerei da attacco al suolo erano già ripartiti senza che nessuno potesse sostituirli. Inutile avere armi ed equipaggiamenti (relativamente) sofisticati, se non si possiedono anche le conoscenze e le risorse per mantenerli in efficienza. E poi le guerre non le combattono i numeri e le armi”.

Con cosa si combattono?

“Con gli uomini. Uomini che devono essere disposti a rischiare di restare feriti o uccisi, devono essere disposti al sacrificio per senso del dovere, per fedeltà alla patria o al loro comandante, per ideologia, religione o almeno per denaro. Possono mancare alcune di queste motivazioni, ma non tutte: un esercito che non si riconosca in un governo autorevole, che non sia convinto di rappresentare il proprio popolo, che non sia unito da una forte spinta ideale e che non venga pagato da mesi è sconfitto in partenza”.

Crede che i Talebani siano realmente diversi da quelli di vent'anni fa?

“No, e non ne hanno motivo. I Talebani, come tutti gli altri fondamentalisti islamici, hanno radici lontane (nel loro caso il movimento Deobandi, nato nell’India britannica nella seconda metà dell’Ottocento): traggono origine, infatti, dalla profonda crisi dell’Islam, politicamente e militarmente in regresso dal XVII secolo in poi. La risposta è stata un ritorno alla purezza delle origini: l’idea di base è che Allah garantirà di nuovo il successo ai musulmani se questi ultimi torneranno a dimostrare la purezza della fede nei loro comportamenti, che dovranno quindi essere rigorosamente aderenti ai precetti originari della sharia. Adesso che hanno vinto, perché mai dovrebbero cambiare? So qual è la risposta: per ottenere legittimazione internazionale... Ma non sembra che nessuno stia creando loro molti ostacoli, in questo senso. I Talebani faranno la faccia buona (a Kabul) per i media stranieri, ma nella sostanza non penso ci saranno grosse differenze rispetto all’epoca del mullah Omar”.

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