Un'innovativa tecnica di coltivazione del riso, in grado di ridurre mediamente del 20% la concentrazione di cadmio nel prodotto ottenuto e di abbattere, in parallelo, il consumo di acqua irrigua e l'emissione di gas ad effetto serra.

È quanto propone uno studio dell'Università di Sassari e pubblicato sulla rivista "Science of the Total Environment".

Il gruppo di ricerca dell'Ateneo, guidato da Antonino Spanu e Gavino Sanna, offre in particolare ampia documentazione a sostegno del particolare procedimento noto come "irrigazione per aspersione".

Quello che infatti non tutti sanno, è che se in molti Paesi il riso costituisce, di fatto, l'unico apporto calorico significativo, è anche vero che rappresenta la principale fonte di assunzione alimentare di cadmio, un elemento che è sempre dannoso per la salute, tanto che l'European Food Safety Authority (EFSA) ha fissato in 2,5 microgrammi per chilo corporeo il limite massimo tollerabile settimanalmente dall'organismo umano. La problematica è particolarmente avvertita in Giappone dove, stando ai dati forniti dal locale Ministero dell'Agricoltura, la quantità ingerita è quasi doppia.

Sfortunatamente, la sicurezza alimentare del riso è minacciata da altri elementi tossici oltre al cadmio. "Presupposto di questa ricerca sono gli importanti risultati che abbiamo a suo tempo ottenuto nella riduzione del bioaccumulo di arsenico nel riso. Questi risultati sono stati pubblicati nel 2012 dalla rivista Environmental Science & Technology dell'American Chemical Society" , spiegano i docenti Spanu e Sanna, rispettivamente già professore ordinario di Agronomia e Coltivazioni Erbacee e professore associato di Chimica Analitica. "In quello studio abbiamo evidenziato che l'adozione dell'irrigazione per aspersione al posto della tradizionale sommersione continua ha consentito di ridurre del 98% la concentrazione di arsenico nel riso. E ora continueremo valutando il comportamento di altri elementi tossici come il piombo e il mercurio".

Cominciata circa 10 anni fa, questa ricerca in realtà affonda le radici nei primi anni Ottanta, quando Antonino Spanu volle mettere a punto nuovi metodi d'irrigazione per il riso, in grado di abbattere il consumo idrico pur garantendo le stesse produzioni ottenibili con l'irrigazione tradizionale. E proprio il minore consumo di acqua costituisce l'altro importante risultato fornito da questo studio, ideato e realizzato completamente in Sardegna. "Se con l'irrigazione tradizionale sono necessari circa 20mila metri cubi d'acqua per coltivare un ettaro di riso (media mondiale), con l'irrigazione per aspersione ne bastano circa 8mila", afferma Spanu.

"Sebbene l'acqua erogata per aspersione cada 'a pioggia' sulla coltura – prosegue il professore - non tutti i metodi d'irrigazione a pioggia sono irrigazioni per aspersione. L'apporto idrico è infatti rigorosamente determinato sulla base delle condizioni meteoclimatiche e dello stadio vegetativo della pianta. È possibile, tuttavia, per i non addetti ai lavori, commettere errori nell'applicazione del metodo, che possono portare a risultati addirittura opposti nella bioconcentrazione di elementi tossici nel riso. A causa di ciò, un'ampia parte del recente studio spiega come evitare questi errori".

Infine, è importante sottolineare che le sperimentazioni agronomiche sono state realizzate in strutture dell'Università di Sassari, ossia nei campi didattico-sperimentali "M. Deidda" ad Ottava (Sassari) e "Santa Lucia" a Zeddiani (Oristano). Il gruppo di ricerca è composto anche dai dottori Massimiliano Valente, Ilaria Langasco, Francesco Barracu e dalla dottoressa Anna Maria Orlandoni, di Matrica, azienda che ha offerto supporto strumentale per parte delle analisi.

(Unioneonline/v.l.)

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