Cosa hanno a che fare gli amori e i matrimoni di un’elegante e furba signora - capace di ideare solo per far cassa un luogo di cura chiamato Clinica del Vento - con gli anni francesi di Gioacchino Rossini e la scoperta di una sua lettera a un’amante molesta? Apparentemente nulla oppure moltissimo come racconta Stefano Jacini nel brioso La dama di Rue de Vaugirard (Bompiani, 2021, Euro 16, pp. 240. Anche Ebook), romanzo il cui ritmo narrativo sembra aver assorbito molto della nota verve rossiniana. Ma partiamo dall’inizio: tutto accade o viene evocato a Parigi, a un passo dai Giardini del Lussemburgo, dove la proprietaria di una crêperie è depositaria dei pettegolezzi e delle memorie storiche del quartiere, un tempo dominio dei Tre Moschettieri – proprio quelli di Dumas -, oggi frequentato da un aspirante scrittore, un portinaio impiccione, una deliziosa storica dell’arte dai capelli ramati e un perdigiorno convinto che le anime dei defunti finiscano di morire dentro i vivi.

Grazie a loro e alla vena narrativa di Jacini prende così forma, pagina dopo pagina, un’ironica trama gialla, alla quale contribuiscono il furto di una spada che pare sia quella di Athos, un tappeto che nei disegni forse nasconde la mappa di un tesoro, il ritratto di una misteriosa viaggiatrice al quale chissà perché è stata tagliata la firma del pittore e un paio di delitti risolti da un invisibile commissario fumatore di pipa. Così, ogni elemento, ogni personaggio trova la sua ragion d’essere nel piacere di raccontare a ruota libera, di seminare ammiccamenti al solo scopo d’invitare al sorriso sulla commedia umana. Insomma, una vera e propria sarabanda in forma di romanzo che ci porta a chiedere a Stefano Jacini quanto ci sia di reale e quanto di fantasioso nel suo racconto: “Ci sono alcuni fatti reali che hanno condizionato la struttura del romanzo. È stata una sorta di sfida riuscire a collegarli fra loro. Il primo è l'acquisto a un’asta del quadro che compare in copertina. Ho poi scoperto che il lembo in basso a destra era stato tagliato come se qualcuno avesse voluto cancellare la firma del pittore; inoltre, alle spalle della dama compare (a mio parere) il palazzo del Luxembourg di Parigi, di fronte al quale ho casa. Quindi mi sono messo in testa che la dama volesse tornare nei paraggi. Ora il quadro è appeso davanti a una finestra che guarda proprio i giardini del Luxembourg. Da tempo mi chiedevo chi fosse, la sua presenza (quando sono a Parigi) ha continuato a stimolare domande alle quali sono stato costretto a rispondere”.

E Rossini come è saltato fuori?

“Per giustificare il soggiorno del protagonista a Parigi mi sono inventato che volesse fare delle ricerche sugli anni francesi di Rossini, dal Viaggio a Reims al Guglielmo Tell, al suo famoso salotto musicale dove convenivano compositori e letterati. Per non scrivere sciocchezze ho preso contatto con la Fondazione Rossini di Pesaro per farmi suggerire una lettura con cui documentarmi. Il consiglio è stato chiaro: consultare la biografia di Rossini scritta da Giuseppe Radiciotti (inizi del Novecento), che sono riuscito a trovare con qualche difficoltà da un antiquario londinese. Dentro il primo volume ho poi per caso trovato l'originale autografo di una lettera di Rossini a tale mademoiselle Cardillac, un'amante scomoda che non voleva restituire la chiave della garsonnière dove i due s'incontravano. Anche in questo caso mi sono messo in mente che Rossini volesse ringraziarmi di scrivere di lui a Parigi, con l'arguzia che gli era propria. Finito di scrivere il romanzo ho donato la lettera alla Fondazione Rossini”.

Quanto hanno contato le sue passioni personali per la musica di Rossini oppure per i Tre moschettieri? 

“Quanto a Rossini, è uno dei compositori che ascolto con piacere: è come stare a sentire un vecchio amico coi suoi tic, le sue manie, le sue ripetizioni. Quanto invece ai Tre moschettieri, è una lettura che ha segnato la mia adolescenza, perché ricordo di averlo letto sdraiato per terra in camera mia dopo gli esami di terza media con un senso di grande libertà. Poi ho scoperto che Dumas li aveva sistemati tutti e quattro nel quartiere dove ho casa a Parigi, tra i giardini del Luxembourg e place Saint Sulpice, quindi è stato naturale farli rivivere nella memoria della signora della crêperie che esiste realmente sotto casa mia”.

L’impressione data dalla lettura del romanzo è che lei si sia divertito molto a scriverlo.

“Mi sono particolarmente divertito a inventare la Clinica del Vento che quella manigolda di donna Antea ha organizzato sulla Bocche di Bonifacio. Il maggior divertimento è comunque stato quello di andare avanti e indietro nel tempo, con un pizzico di onnipotenza nel manovrare i personaggi come pezzi di una scacchiera”.

La copertina
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