Avete mai provato a immaginare come si sente chi non riesce a leggere neppure la frase più banale? Quando i caratteri scritti non si incastrano fra loro? A raccontarcelo in "Dove finiscono le parole. Una storia semiseria di una dislessica", edito da Rai Libri, da oggi in libreria, è Andrea Delogu, effervescente conduttrice radiofonica, con Silvia Boschero, di "La versione delle Due", da cinque anni alla guida di "Stracult" con Marco Giusti e Fabrizio Biggio, e tante altre cose ancora, come presentare in Senato "Omaggio all'opera".

Con intelligenza e garbata ironia, Delogu affida alle pagine di un libro la sua esperienza di dislessica (ha scoperto di esserlo in età adulta) fatta di inciampi, successi, delusioni, scoperte. È un po' come si dicesse: eccomi qua, io ce l'ho fatta così, fino a impadronirsi delle parole per usarle con allegra scioltezza per il suo lavoro. Se cinque anni fa ci aveva commosso con "La collina" in cui raccontava la sua infanzia speciale nella comunità di San Patrignano, dove i suoi genitori si sono conosciuti e amati, ora ci regala un libro prezioso, scritto con un font che facilita la lettura ai dislessici e mette in coda indirizzi utili: dove rivolgersi, cosa fare. Archiviati i dislessici illustri come Einstein o Leonardo, capaci di "generare solo ansia", ecco un'amica sorridente, un'alleata schietta e spiritosa.

Come si confonde la parola mamma con mucca?

"Succede. È una parola scritta che si confonde con un'altra che inizia con la stessa consonante. Succede perché sono dislessica e la parola scritta è difficile da decifrare. E poi c'è la mamma che aspetta una risposta, arriva l'ansia. Ci si confonde".

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Mamma e mucca sono entrambe rassicuranti...

"Non l'avevo mai vista così, mi piace e la sottoscrivo".

Venti anni fa la dislessia non era riconosciuta, e lei era una scolara che non si applicava abbastanza...

"L'etichetta era 'è intelligente ma non si applica', e io non capivo, perché invece mi applicavo moltissimo. Non si parlava di dislessia e la scuola non dava strumenti per fare un percorso diverso".

"Ho imparato a parlare l'italiano dalla televisione, la grammatica dai social, la storia dai documentari". E la scuola?

"La scuola è stata un momento di confronto con alcuni professori che avevano voglia di seguire anche chi restava indietro come me. Quella scuola mi ha aiutata a non sentirmi diversa. Il problema era nel sistema di insegnamento, uguale per tutti i bambini. Oggi per fortuna c'è il dubbio, ci si fanno domande: 'Sono io che non sono capace o la colpa è di chi insegna?'. La strada è lunga. Qualcuno ancora mi domanda: 'Ora sei guarita?'. La dislessia è una caratteristica, è come avere gli occhi azzurri, le mani grandi. Non mi manca un arto, ho solo un modo diverso di apprendere le cose".

La rete diventa il grande alleato: concede tempo, non mette ansia, non dà giudizi. Il T9 un capro espiatorio e i sistemi di scrittura che sottolineano gli errori, una finestra sul mondo.

"Grazie al cielo. Avevo già 22 anni quando mi sono approcciata alla rete e ai social. Mi hanno permesso di prendere fiato, di respirare profondo. Non c'era più il paragone immediato con chi ti stava accanto. La dislessia, più l'ansia di dover rispondere, è la fine. La rete invece ti dà il modo di chiedere le cose più e più volte fino a che non trovi la tua risposta".

Definisce il libro un "piccolo manuale di sopravvivenza". Il vero talento è stato trasformare il disturbo in opportunità. Come si fa?

"A un certo punto ho capito che il disturbo è un problema per gli altri. Io avevo difficoltà a trovare qualcuno con cui immedesimarmi. Per questo ho fatto questa piccola cosa, questo libro che è come una pacca sulla spalla, racconto la mia storia, dico che si può".

Ci sono due parole chiave: amicizia e condivisione

"Ho avuto la fortuna di incontrare persone disposte a fare gruppo, da Marcellino (l'amico di infanzia) in poi. Ho imparato ad avere zero remore nel chiedere, faccia tosta nel pretendere dettagli. Ho incontrato chi mi ha aiutata a superare gli ostacoli".

I suoi genitori le hanno insegnato la "via del coraggio". Nel libro c'è tanta mamma che scrive un bellissimo capitolo, e poco papà.

"La scuola l'ho affrontata con lei, era la mamma che andava ai colloqui, era sempre presente, perché il papà viaggiava per lavoro. Però nel primo libro il protagonista è lui. Inconsciamente ho riequilibrato".

Perché ha deciso di parlare a voce alta della dislessia?

"È un libro d'appoggio, non un libro tecnico, freddo, ma un racconto personale che ai miei tempi non trovai e mi è mancato. Vuole essere uno spicchio di luce".

È un gesto generoso

"Io ne ho ricevuta tanta, di generosità, e ho imparato a darla".

Oggi dove "finiscono le sue parole"?

"Ora le parole hanno forma, colore, vitalità, non sono più ghiaccio su un foglio bianco. Palpitano. Con le parole ci vivo, sono il mio lavoro. Avevo il contenuto ma non sapevo come spiegarlo. Avrei voluto fare meno fatica. In Italia i dislessici sono il tre per cento e sono quelli che hanno fatto una diagnosi".

Andrea Delogu con la u di garanzia di sardità?

"Me la vendo ogni volta. Siccome mi chiamo Andrea tutti sono convinti che sia straniera. Ma avete visto i miei colori? Sono sarda".

Caterina Pinna

© Riproduzione riservata