Pubblichiamo oggi la riflessione di un nostro giovane lettore su queste giornate segnate dal terrorismo e dalla paura. La domanda che il nostro lettore si pone è quale sia la giusta risposta: senza dubbio non rassegnarsi mai, e continuare a vivere.

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"Gentile redazione,

in questi giorni in cui il terrorismo e la paura sono al centro non solo delle cronache del vostro quotidiano, ma dell’intera stampa nazionale e internazionale, voglio condividere con voi una riflessione.

La 'guerra', per chi come me è nato negli anni Ottanta, è sempre stata un racconto dei nonni, un tema teorico o, al massimo, una bandiera arcobaleno da appendere al balcone per dimostrarsi contrari ad alcune missioni militari.

I nostri genitori hanno vissuto gli anni di piombo e il terrorismo politico, sperimentando il senso di minaccia, le esplosioni, gli attentati. Noi no. Noi siamo cresciuti nella convinzione che non ci sarebbe mai successo di aver paura nelle nostre città, fiduciosi delle nostre democrazie e dei nostri valori, che avevano dei limiti, certo, ma erano i nostri.

Oggi, improvvisamente, la paura e la morte irrompono nelle nostre vite. E basta un petardo sparato in una piazza, come accaduto a Torino, per provocare il panico e causare il ferimento di 1500 persone.

La mia domanda è, allora, quale sia il giusto modo di reagire a questa angosciosa macchina del terrore.

Non esiste, a mio avviso, una risposta definitiva. Ma quello che penso è che non dobbiamo rassegnarci alla paura, e continuare a vivere la nostra vita nel modo in cui ci hanno insegnato.

È ciò che sappiamo fare, ed è ciò che ci rende uomini e donne liberi".

Un cordiale saluto,

Antonello Porcu

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