"Cara Unione,

ieri ho avuto conferma (l'ennesima) che sono 'strani' coloro che rispettano le regole.

Centro trasfusionale dell'ospedale Santa Barbara, a Iglesias: sono le 11.55 quando arrivo, con già la mascherina indossata, al secondo piano della palazzina che ospita il servizio, per una visita ematologica urgente (prenotata ieri dalle gentilissime e amorevoli - tengo a evidenziarlo - operatrici del Cup dello stesso presidio) fissata alle 12. Sono in anticipo e aspetto l'orario previsto prima di suonare il campanello: passa qualche minuto, sento voci in lontananza, ma nessuno si avvicina. Resto in piedi, ché la poltrona ha un aspetto poco rassicurante dal punto di vista igienico e sull'unica sedia presente (sistemata per interdire l'accesso al reparto) trova posto un sensore che si aziona appena ci si avvicina. Sono già le 12.10 quando arriva una coppia: lui ha la mascherina, lei no. Dopo i saluti, le ricordo che bisogna indossare il dispositivo, ma lei mi risponde in malo modo e mi dice di farmi gli affari miei. Replico che lo sono, anche miei, perché siamo in una struttura pubblica (sanitaria, peraltro), la norma lo prevede e non sa (né devo dirglielo) che posso essere uno di quei soggetti 'a rischio'. Lei continua a borbottare e dice che non ha visto nessun cartello (è vero, nella struttura non c'è alcun avviso né controllo all'ingresso). 'Gente fissata con questa storia del Covid', continua. Le suggerisco di smetterla e la avverto di essere pronta a chiamare la Polizia. Si allontana e, quando ormai sono le 12.20, un'infermiera si presenta all'ingresso: ha la mascherina abbassata e sono costretta a chiedere anche a lei di indossarla correttamente. 'Ha ragione, mi scusi', dice. Ma mi sento gli occhi puntati addosso come se fossi un'invasata che chiede qualcosa di strano.

Mi infastidisce la sensazione di essere quasi fuori posto, da paziente che anziché essere tutelata dagli operatori sanitari, si vede costretta a ricordar loro quali siano le regole da seguire. Giuste o sbagliate, non spetta a me dirlo: ma regole in vigore e, pertanto, da rispettare. E da far rispettare. Tutti. Fa specie, poi, che in un luogo 'sensibile' come un servizio sanitario, chi dirige o ha un ruolo, metta i pazienti nell'antipatica condizione di litigare tra loro.

A 'margine', il motivo per cui ero lì, la visita ematologica. Quando sono quasi le 12.30 l'infermiera guarda il foglio di prenotazione e mi dice, sorpresa: 'Ma qui non le stiamo facendo, vada a Carbonia'. Le mostro il foglio del ticket già pagato e le faccio notare che nella prenotazione è indicato il Trasfusionale di Iglesias, mi guarda e risponde: 'Vediamo cosa dice il medico', quasi dovesse farmi un favore. Il dottore si avvicina e mi invita a entrare nella sala visite (nell'androne vedo un uomo, senza mascherina né cartellino identificativo, che preleva contenitori dal reparto), io mi fermo all'ingresso e gli dico che devo igienizzarmi le mani. Lo fa anche lui. Nessuno, in tutto il tempo di permanenza nella struttura, mi misura la temperatura".

Lettera firmata*

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