Un nostro giovane lettore fa una riflessione sull'amicizia: chi sono i veri amici? E chi il Giuda di turno? Ecco cosa significa essere circondati, o meno, da persone che gioiscono e piangono insieme a noi.

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"Tanti ne parlano, ma pochi la conoscono: qual è l'essenza, in fin dei conti, di quel sentimento che tiene legate due persone in un rapporto di genuina fraternità? Aristotele ci viene subito incontro, chiarendone una sfaccettatura: l'indispensabilità. 'Nessuno vorrebbe vivere senza amici'.

Cosa ne pensano, però, i giovani sardi? Ho affidato a due di loro un compito gravoso: definire l'amicizia.

'Per me, è un'apertura agli altri. È un dare e ricevere continuo, in maniera gratuita', spiega Tommaso, quindicenne, di Cagliari, dagli occhi glauchi. 'Amicizia è esserci anche nei momenti del bisogno, tipo lutti e cose simili', aggiunge, con fare sprezzante.

'Attenzione, Tommaso', replica sua sorella sedicenne Valeria, interrompendolo. 'Amicizia non significa esserci solamente nelle difficoltà, ma pure gioire dei successi dell'amico'.

Della sua stessa opinione anche il greco Eschilo, che ebbe infatti a dire: 'Pochi uomini hanno la dote di onorare senza invidia l'amico che gode di buona fortuna'.

Insomma, appare troppo facile prodigarsi in piagnistei per le tristezze altrui, mentre più complesso è non rosicare per la felicità di chi ci si millanta di amare. Sì, perché amicizia è amore, avete ben inteso: non è, almeno ai giorni nostri, un amore carnale, o erotico, ma un amore ineffabile. Gesù stesso ce lo insegna: i Vangeli riportano chiaramente che il Rabbì amava i suoi amici e, si noti bene la sintassi della frase, 'amava gli amici', non li 'aveva', come diciamo noi contemporanei, lobotomizzati dal linguaggio 'consumistico', viziati da una grammatica del possedere.

Gli amici che si 'hanno' sono di solito quelli di convenienza: quelli a cui ci si rivolge per garantirsi favori mutuali, tipo saltare la fila all'ASL o per raccomandare una poltroncina a parenti&company. Il tutto inquadrato in un'ottica do ut des: 'Io ti faccio questa cortesia, sì, intanto tu tieniti pronto a fare lo stesso con me'.

Ma gli amici, quelli veri, ci sono sempre. E per il loro operato, per il loro patrocinio, non chiedono manco una lira e tantomeno uno scambio di favori. I veri amici sono quelli che non solo gioiscono per i nostri traguardi, ma che addirittura ne sono gratuitamente e disinteressatamente partecipi, se non artefici: ci guidano, cioè, in quel percorso di introspezione che ci permette di scoprirci, nel bene e nel male.

Disse Lévinas: 'Amico è colui che ti fa scoprire arcipelaghi inesplorati dentro di te'.

L'amico che ci sprona a scrivere, se ci vede bravi nel farlo, l'amico che ci invoglia a dipingere, se è certo che tra tempere e matite siamo la nuova Artemisia Gentileschi, è un vero amico. Ed è un amico al quadrato nel momento in cui, per venirci incontro, per rassicurarci, investe qualcosa dal punto di vista affettivo: come dimenticare Santiago e Manolin, i personaggi del romanzo 'Il Vecchio e il Mare' di Hemingway, la cui amicizia ha valicato ogni muro che la gente ha edificato per allontanarli, Gionata e Davide, Anania e Zuanne, le piccole pesti di 'Cenere', perennemente unite, nate dalla mente della Deledda, che per tirarsi vicendevolmente su hanno stretto un rapporto speciale? O, ancora, Katniss e Peeta degli Hunger Games, i quali hanno rischiato di morire entrambi uno per amore dell'altra? Non a caso, Epicuro sostiene che la più grande felicità della vita è 'l'acquisto dell'amicizia', ma l'Ecclesiastico della Bibbia si sbilancia ancor di più del filosofo samese: dedica infatti a questo speciale amore un suo capitolo, da cui è tratto il famoso adagio popolare 'chi trova un amico, trova un tesoro'.

Vivere senza amici può avere, lo si intende, tante brutte implicazioni. Ci rende poveri, innanzitutto. Perché non possiamo più incassare quella fortuna che la Bibbia ci ha promesso nel Siracide. Può eliminare il sole dalla nostra esistenza (Cicerone). Nel peggiore dei casi, dimezzarci (stando a Sant'Agostino) o renderci come le fiere, esponendoci alle brutture del sottobosco quotidiano (questo lo riferisce Seneca).

È bello essere attorniati di amici, ma, quando non li si trova, bisogna farne una malattia? No, perché si correrebbe il rischio di incontrare gente subdola, che latita nelle fragilità degli animi. Oggi più che mai conta discernere il vero dal falso. Tra l'entourage di consiglieri che riteniamo fidati si nasconde spesso il nemico, il Giuda di turno. L'ostentata logica dell'amicizia facile, fatta di cuoricini e reazioni, pollici e commenti smielati, nata ai tempi delle prime chat – blog di Internet, nasconde spesso quest'insidia: 'C'è infatti chi è amico quando gli fa comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura' (Siracide).

Come distinguere, dunque, il falso dal vero? L'amico vero deve essere una via di mezzo (in medio stat virtus), un composto eterogeneo, 'che non mischi l'amore con l'interesse' (Elodie), e capace di tirarci una strigliata al fulmicotone quando ci vede sbagliare, ma che sappia anche complimentarsi con noi nel bene.

L'identikit del confidente modello: mai troppo aggressivo, mai eccessivamente permissivo e non deve tradire nella maniera più assoluta la nostra fiducia. La lesa maestà, proditoria, il sopruso, inadeguato, e la violenza cancellano ogni rivolo d'amore e stima tra due persone. Chissà se l'eugenetica sfornerà mai un prototipo di amico, reale, perfetto.

Amico nel senso latino del termine, che ci 'avvolge' di affetto (mi piace idealmente pensare che amicus derivi dal verbo latino amicio, rivestire: indagherò). Al momento, bisogna accontentarsi però degli amici esistenti. Ma tranquilli, si può non fare neanche quello. Hemingway, che abbiamo già citato, riferì di non aver avuto tanta fortuna con le amicizie: divenne così un appassionato gattaro. E forse, anche oggi, data la situazione stagnante, in cui vero e falso si mischiano sempre di più, non avrebbe tutti torti a preferire agli amici gli enigmatici mici...".

Alessio Cozzolino - Uno studente cagliaritano

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