B isognerebbe rileggere Pinocchio per ripensare a quell’anima italiana che immagina di poter avere in modo facile quel che è difficile, se non impossibile, per ciò che natura dispone e lavoro compone. Pinocchio che si fa abbindolare dal gatto e la volpe con la promessa di far spuntare da due monete un albero carico di monete d’oro è il fesso che tenta di diventare furbo. Poi come finì tutti lo sappiamo. La verità allora non è quella di Giuseppe Prezzolini che divideva gli italiani in furbi e fessi ma di Benedetto Croce quando sosteneva che il burattino era stato intagliato nel legno dell’umanità. A volte può prevalere la furbizia, a volte la fessaggine, quindi siamo tutti un po’ fessi e un po’ furbi. Può accadere però che a un certo punto la parte furba prenda il sopravvento tanto da portarci, come il burattino di Collodi, a piantare l’albero dello zecchino d’oro. Oppure a sganciare i soldi con la promessa che in un mese i cento diventano mille. I Pinocchio di ieri sono i nuovi “fessi” di oggi, lavoratori e pagatori, che sopraffatti dalla parte furba che è in loro, dopo aver contribuito a truffare mille milioni con il “Superbonus”, a imbrogliare con il reddito di cittadinanza, con i contributi facili e le invalidità fasulle, ritornano ad essere quelli che erano. Ma basta con i fessi e i furbetti, chiamiamoli per quel che sono: mascalzoni.

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