A parte qualche sordo che non vuol sentire e qualche furbastro in astinenza di consensi, nessuno può negare il cambiamento climatico e i suoi disastri. Eppure, con la nevrosi del fumatore che sa quel che rischia e per l’angoscia se ne accenda un’altra, una troppo larga parte di noi continua a spostarsi in auto anche senza stringente necessità e a votare gente che minimizza il problema (che qui è un’emergenza di costosa prevenzione e mitigazione, prima ancora che di stile di vita e di produzione).

Detto questo, quale passo avanti ci fanno fare verso la consapevolezza i giovani che ieri hanno messo a repentaglio la loro fedina penale paralizzando via Roma? Anche a chiederselo su un giornale che ieri sulle scorie nucleari e oggi sulle pale eoliche non ha disdegnato posizioni radicali, la risposta rimane: nessuno. È stata un’operazione-antipatia che porterà ciascuno degli imbottigliati di ieri (a cominciare dall’anziana che inutilmente chiedeva di poter andare ad assistere un malato terminale) a squalificare la questione ecologica come la bandierina di un gesto di violenza narcisista. In una città che è un mosaico di poteri, alcuni legittimi e riconosciuti e altri opachi e cinici, ieri per un’ora c’è stato un minuscolo e arrogante potere in più. Che tra i clacson e i fumi di scappamento delle auto bloccate ha inciso il proprio nome sulla libertà altrui.

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