G li ottimisti, quelli del bicchiere sempre mezzo pieno e mai mezzo vuoto, sostengono che la Cop 28 è stata un successo. Forse esagerano. Lo scopo della Conferenza è trovare un accordo per la riduzione delle emissioni di gas serra ritenuto la causa del riscaldamento globale. Su questa diagnosi c’è una spaccatura nel mondo scientifico. Da quando imperversa la legge del negazionismo, che condanna chi osa andare controcorrente, pochi però si oppongono: qualche premio Nobel troppo impulsivo, gli aderenti alla setta catacombale degli scettici, i critici che ragionando praticano la virtù del dubbio e si espongono alla fucilazione morale. Le Cop finora non hanno trovato una soluzione condivisa. A ogni azione proposta corrisponde sempre una reazione uguale e contraria, a ogni interesse se ne oppone un altro altrettanto forte. Lo stop ai combustibili fossili entro il 2050, ossia dopodomani, si allontana come l’orizzonte davanti al viandante. I Paesi ritenuti in via di sviluppo, tra cui, incredibilmente, Cina Russia India Brasile, vogliono corsie preferenziali a scapito dei paesi europei, che incidono nella produzione globale di CO2 solo per il 7 per cento. I Paesi produttori di petrolio hanno ottenuto un cambio verbale: da “eliminazione” a “transizione futura”. Anche gli arabi sanno che cosa vuol dire rimandare “alle calende greche”.

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