S offro di retrotopia. Me lo ha diagnosticato uno psicologo al termine di uno scambio informale di idee. Oggetto della conversazione era la nostra percezione del mondo d’oggi e di quello di domani. La retrotopia è l’attitudine a cercare nel passato, considerato rassicurante più del presente, il senso della vita. Si crede che prima si stesse meglio; ma è un inganno del cervello, che tende a proteggerci cancellando o sminuendo le cattive esperienze. Eppure quando i tempi sono duri, come lo sono gli attuali, e l’avvenire si prospetta difficile, è istintivo cercare di evadere dalla realtà. Si alimenta, come farmaco della psiche, l’utopia; ma rivolta al passato. Un’utopia che, come ha scritto Zygmunt Bauman, deve essere ascoltata perché va a occupare il vuoto lasciato dalla speranza, che ci è stata sequestrata. In essa si nasconde una nostalgia immotivata dei tempi andati e una disperata domanda di futuro. La società odierna è caratterizzata da un’enorme quantità di violenza nei rapporti individuali e tra Stati; le minacce di sopraffazione, morte e distruzione sono fonte di incubi; si è sempre più connessi, ma si è sempre più soli. La retrotopia può avere l’effetto di una droga: ci allontana dalla realtà, è solo patologica illusione. Perciò Bauman la considera una malattia. Siamo tanti, ma molti non se ne rendono conto, i malati di retrotopia.

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