T ra il potere e la satira non sempre è corso buon sangue. I secoli più bui sono stati quelli della censura. Prima si è impedita la libertà di espressione, poi sono venuti ostracismo, esilio e damnatio memoriae. Quando è andata bene. Altrimenti anche peggio. Eppure la satira ha un suo quarto di divinità. Ne era protettrice Thalia, la più spumeggiante delle nove muse care ad Apollo. Nell'antica Grecia la sua corrosività era motivo di allegria. I tiranni la temettero, ma dovettero accettarla. I latini ne confermarono la sacralità e di fronte a lei tutti piegarono la testa, nessuno osò reprimerla. Solo i feudatari incolti del medioevo le si opposero con ferocia; armigeri permalosi censurarono parole e idee. Anche in Italia i signorotti del potere spericolato che oggi ci sovrasta non tollerano l'ironia, forse perché è il sesto senso dell'intelligenza. Per sopprimerla battono vie subdole e traverse. Figure slavate si offendono se le si punge con un po' di sarcasmo e diventano minacciose. “Nihil de principe, parum de Deo”, conviene non parlare mai del principe e poco di Dio: era una raccomandazione medievale. La si osservava per salvarsi la pelle e l'anima. Anche oggi abbiamo a che fare con signorotti supponenti dei quali è salutare non dire nulla. Giusto così: perché in effetti nulla sono.

TACITUS
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