N oi bradipi che ancora non capiamo perché Santa Teresa di Gallura si sia amputata il “di”, possiamo solo rallegrarci per Cervinia che ieri ha rinunciato a ribattezzarsi Le Breuil. Intanto perché la faccenda era complicata. Se n’è parlato in questi giorni ma il provvedimento era di mesi fa; la nuova sindaca ha protestato col presidente della Regione (che però aveva solo controfirmato una delibera comunale) ma ai tempi in giunta c’era anche lei; e infine la delibera era giusto una presa d’atto dei risultati di una ricerca toponomastica avviata nel 2011.

A parte il fatto che bastavano due minuti in rete per scoprire che Cervinia fu chiamata così dal fascismo (sarà stato questo il problema, novant’anni dopo? Manco l’avessero chiamata Manganellia), e che magari sul cambio di nome si potevano interpellare i residenti (sono 700, bastava una chat su whatsapp), in ogni caso la retromarcia è un sollievo. Non solo per la nostra memoria in affanno, ma proprio per un fatto di identità: piaccia o no, quella ormai è Cervinia. Quel posto da decenni non ha una fisionomia rurale-alpigiana ma una sciistica-glamour perfettamente espressa da quel nome, peraltro proficuamente trasformato in un brand. Dice: ma la storia? Appunto: la storia ci dice chi eravamo e come siamo cambiati, non chi dobbiamo essere. La storia non è una lapide, è uno specchio.

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