P er divorziare bisogna essere sposati. Non basta essere “promessi” come i manzoniani Renzo e Lucia. O, similmente, Renzi e Calenda. Né basta avere passeggiato in tandem nei tornanti elettorali per dirsi marito e moglie; o, come oggi è possibile, marito e marito. Perciò niente divorzio, solo un rancoroso addio. Volevano fondere due minipartiti in uno, così forte da essere decisivo per le sorti della patria. Impresa superiore alle loro forze psichiche, che hanno ceduto al primo dissapore. Calenda voleva un “partito unico”, inquietante nel nome come quello orwelliano. Renzi, più prudente, lo avrebbe voluto “unificato”; perciò ha traccheggiato. Calenda, che ha fretta di diventare finalmente un leader, esce dai gangheri. L’altro, di rimando, gli annuncia che a maggio assumerà la direzione del quotidiano Il Riformista. Quasi una dichiarazione di guerra. Matteo lancia petardi in salotto, Carletto nel tinello e in cucina: la casa comune è andata in rovina. I due litigiosi amanti, dopo gli infruttuosi tentativi di moltiplicarsi elettoralmente, si sono convinti d’essere politicamente sterili. Per salvare il loro ménage e generare il tanto desiderato partitino potranno però ricorrere alla fecondazione artificiale con utero in affitto. E il bimbo, per ingraziarsi Elly Schlein, lo chiameranno Woke. Non si sa mai.

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