P er raccontare l’Italia corrente, l’Italia che ha scelto in modo netto Giorgia Meloni, servirà una lingua nuova, come succede quando l’oggetto del nostro racconto si trasforma. Intanto si potrà smettere di parlare di “destre” (l’avanzata delle destre, il disegno delle destre) e chiamarla destra, visto che in sostanza ce n’è una. Era un tic non solo giornalistico ma tipico del racconto progressista, forse perché al plurale pareva che le destre facessero più spavento. Al contrario, giornalisti e politici di destra hanno sempre parlato di “sinistra”, riunendo sotto l’ombrellone del singolare una galassia immaginaria che va da Mario Monti a Che Guevara. Poi ci sarà da fare i conti col concetto di patriottismo, che spesso i progressisti lasciano ai tradizionalisti con lo stesso sospetto riservato alle saghe di Tolkien. È un valore? O un arnese arrugginito che attaccherà il tetano all’Ue? Già che bisogna confrontarsi col lascito del fascismo, lo si potrebbe fare anche col Risorgimento. E poi la questione di genere, linguisticamente la frontiera più calda. L’Italia che impara a dire “sindaca” e “assessora” per la prima volta avrà alla guida una donna, che però si definisce “il presidente” di FdI. Ci sarà da discutere, da litigare, magari da studiare. Ci sono cinque anni.

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