I giallisti inglesi del primo Novecento, con Agatha Christie capofila, usavano anticipare il colpevole: il maggiordomo, nove volte su dieci. Un classico. Su questo servitore si sono confrontati filosofi e scrittori. Il detto di Michel de Montaigne “nessuno è un eroe per il suo maggiordomo” è stato interpretato in due modi diversi: le debolezze private dell’eroe ne ridimensionano la grandezza agli occhi del cameriere o la visione troppo domestica impedisce alla servitù di percepire la gloria del padrone. L’autore del tentativo di golpe, o della scampagnata russa, il cameriere discreto e silenzioso di Vladimir Vlarimidovic Putin, tale Evgenij Prigozhin, è stato un abile centellinatore delle due opposte scuole di pensiero fino a portarlo a scalare il potere partendo dalle cucine e sale da pranzo del Cremlino. Il capo della compagnia militare privata Wagner aveva mangiato, come si dice da noi, “pane da sette forni”: carcere, venditore di hot dog e ristoratore. Nel suo locale alla moda di Mosca conosce Vladimir e piano piano, confidenza dopo confidenza, spiata dopo spiata, l’uomo vola, atterra e sparisce: marcia e retromarcia, andata e ritorno si dice con un bel gruzzolo. Putin non perdona: Tu quoque, “brutto” cameriere mio!

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