I nsieme a mille altre cose, con la morte di Silvio Berlusconi dal paesaggio italiano sparisce anche il comunismo.

In effetti era svanito da un pezzo, per molti versi già prima che il Muro cadesse e il Pci cambiasse nome, eppure almeno nel lessico nazionale lui era riuscito a tenerlo vivo ben oltre l’immaginabile. A pensarci è strano ma ancora oggi, in un Paese che del fascismo è stato la culla e lo ha avuto al potere per vent’anni, a dare del fascista a qualcuno che non sia proprio un bombarolo nero certificato dalla Cassazione si ottiene una scrollata di spalle infastidita mentre (soprattutto dai più giovani o dai più distratti oppure da entrambi) capita di sentir definire “comunista” qualcuno che semplicemente la pensa un po’ all’antica sulle tasse o sull’edificabilità di un terreno, e magari ai tempi del Pci sarebbe passato per un baluardo della reazione borghese.

A ogni elezione il suo charme sapeva dare forma a un demone rosso che poi il Cavaliere Azzurro avrebbe fermato. E in fondo il gioco piaceva inconfessabilmente anche a qualche ragionierino del Pd che almeno per mezz’ora si poteva sentire un cosacco monellaccio.

Uno spettro si aggira triste per l’Europa, il mago che sapeva evocarlo non c’è più.

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