E rano cinque le stelle del firmamento politico italiano. La più luminosa era una cometa, che indicava la strada alle altre: la stella del Grillo, evasa dalla galassia celeste del cabaret. Si mise nella sua scia, sorprendendo tutti con un cambio orbitale repentino, l’astro opaco Conte Giuseppe, di oscura provenienza. A poca distanza luccicava la stellina Gigi Di Maio, sfuggita fino ad allora alla ricerca telescopica degli astronomi. Trainate dal vento cosmico seguivano due stelle nane chiamate Bonafede e Toninelli. Per una di quelle distrazioni che la storia ogni tanto si concede, ebbero in mano le sorti d’Italia per un’intera legislatura. Poi il cielo si oscurò e le stelle precipitarono. La più fortunata cadde nel Golfo Persico. Dopo una lunga eclissi la cometa Grillo è riapparsa su uno schermo televisivo. E ha fatto il mea culpa: «Ho fallito, ho peggiorato e rovinato l’Italia, quelli che ho mandato a quel paese sono al governo. Sono il peggiore». Voleva essere ironico; invece nello scherzo c’era la verità. E Conte? «Quando parlava si capiva poco, era quindi perfetto per la politica». Lasciando intendere che per questo suo difetto congenito fu da lui scelto come capo del governo: una buffonata del buffone incosciente. Uno sberleffo agli italiani. Che lo hanno ripagato con la stessa moneta da lui coniata. Quella del vaffa.

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