S ono passati cinque anni da quando nei giardini pubblici di Cagliari qualche violento decapitò le piccole statue tardo ottocentesche all’incrocio del viale. Forse è tempo di fare qualcosa.

Intanto perché quelle allegorie delle stagioni così amputate danno un tocco lugubre e sciatto a un luogo della città molto bello. E poi perché sembrano una metafora fin troppo banale del clima che ha perso la testa, con le stagioni che ormai non si distinguono più una dall’altra. Per qualche motivo finora non si è voluto o potuto riappiccicare le teste originali oppure rifarle, ma questo di per sé non sembra un grande problema.

Cagliari si picca di essere una città capace di produrre arte e perfino di capirla: si potrebbero mettere periodicamente i busti capitozzati a disposizione dei creativi locali perché le completino con una testa provvisoria. Per esempio in das (quanti ricordi scolastici) oppure in cartapesta o in colla di farina.

Una minuscola monumentalità prêt-à-porter, un effimero statuario. Magari ci troveremmo a passeggiare sotto gli sguardi solenni di Barbie e dell’Inflazione, della Poesia o di Santanché.

I traumi si elaborano anche con il gioco. E quando sono piccoli vale comunque la pena di giocare.

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