T ra le previsioni sul futuro prossimo della Sardegna, ecco quella dell’indovina madame Clavel sulla nostra Isola. “Vedo una grossa nave perduta. Qua e là ballonzolata dalle onde: manca il nocchiero; la ciurma perdentesi in cose vane, non curante del pericolo si sazia nei puntigli, si accascia nei lamenti, invoca l’aiuto e ricade subito dopo in un torpore malefico che ne smorza le attività, ne infiacchisce le membra. Vedo lontana splendere una stella brillante che rischiara tratto tratto la scena; ma grosse nubi accavallandosi all’orizzonte ne smorzano i radiosi riflessi. Si ridesta la ciurma ai bagliori, ma ricade nella prostrazione ubbriacata dal vivido raggio che poi si smorza.” Correva il 1903 come accertato da quel gran giornalista e maestro rigoroso che era Aldo Cesaraccio in una delle sue rubriche del tempo. Al netto della retorica e riflettendo sulla profezia i motivi non mancano per dire che madame Clevel aveva scritto di questa Sardegna. Centoventi anni fa la Regione autonoma non era neppure in mente Dei; questa era una terra dimenticata, lamentosa, stanca, affamata di pane e buona giustizia. E oggi? La Sardegna è cambiata ma troppo lentamente e non certo com’era giusto aspettarsi. Sanità, trasporti, lavoro, strutture ancora ballonzolano tra le stanche lamentele isolane e le inossidabili ingiustizie romane.

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