L unedì scorso alle 17.30 si sono spenti improvvisamente i social media. Ammutolita metà dell’umanità terrestre, scomparsa la piazza virtuale di molte seconde vite. In un istante svanita la felicità artificiale di tanti. Al suo posto, una malinconia depressiva. Il display aveva chiuso la finestra dalla quale la mente di ogni cibernauta esce dal suo rifugio in cerca di avventure nello spazio. L’autostrada dell’etere era stata ingoiata dal buio. E il buio spaventa. Da vent’anni, per allucinata illusione collettiva, viviamo due vite: una reale, una virtuale. Il corpo viaggia da fermo, la mente lo trasferisce laddove sul piccolo schermo lampeggia il cursore. Tutti insieme nella grande agorà dei social, che non sappiamo dove sia, ma c’è. Chiunque può accedervi. Una giungla in cui si nascondono leoni e pulci da tastiera. A questo proposito Umberto Eco sentenziò: «I social danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar senza danneggiare la collettività». Giudizio oltremodo impietoso a tutela della classe intellettuale cui Eco apparteneva. Però, se i simboli hanno un senso, nei social ha messo la coda il diavolo: la mela di Apple (Macintosh) ricorda quella offerta a Eva dal serpente. Una mela morsicata, a dimostrazione del peccato commesso. E dell’umanità condannata.

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