L a Cina è vicina. Ce lo annunciò nel 1957 Enrico Emanuelli, scrittore e giornalista di vaglia, in uno dei suoi Diari di viaggio. Ce lo ricordò, nel 1967, in un film di uguale titolo, Marco Bellocchio, regista antiborghese. Un libro e un film che evocavano i timori del comunismo maoista nell'Italia conservatrice di quell'epoca. Quella frase divenne uno slogan; ora è d'attualità come minaccia. Che la Cina sia vicina ce ne siamo accorti quando un virus mortifero viaggiò da Wuhan e mise radici in Italia. Un anno prima Di Maio aveva fatto il percorso inverso. Sulle orme di Marco Polo aveva riaperto la via della seta con il tacito assenso di Salvini, suo complice nel governo di allora. Paolo Mieli, acuto osservatore politico, severo con la destra, tiepido con la sinistra, denunciò quell'iniziativa come una «deriva filocinese». I nostalgici del maoismo commentarono con derisione i timori dei “soliti capitalisti borghesi”, invitandoli a non dire bugie sulle delizie del Nuovo Celeste Impero. Vale ancora la risposta che diede ai comunisti Adlai Stevenson, due volte candidato alla presidenza degli Stati Uniti: «Finché voi seguiterete a mentire sul nostro conto, noi continueremo a dire la verità su di voi». Diciamola anche noi, finalmente, la verità sulla Cina del fucilatore pacioso Xiaoping.

TACITUS
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