M ario Delpini è un vescovo anomalo. Oltre a girare in bicicletta a Milano come Matteo Zuppi a Bologna, di fronte alla siccità che sta piegando l’Italia si è tirato su la tonaca e in una tre giorni di pellegrinaggio ha attraversato campagne e paesi per invocare la pioggia che metta fine a un disastro mai visto da quelle parti. L’arcivescovo ambrosiano è uomo di fede, implora l’acqua salvatrice come per gli ebrei la manna scesa dal cielo. I preti anche da noi anni fa guidavano le processioni per chiedere la pioggia tra il salmodiare e abbondanza di acqua benedetta. Sul “tanto male non fa” uomini e donne ricorrevano anche a “Maimone”, un essere “facitore di pioggia” scriveva Giovanni Lilliu, padre dell’archeologia sarda. “Maimone cheret abba su laore, abba su siccau Maimone laudau!”, imploravano agitando dei ramoscelli. “Maimone, vuole acqua il cereale e vuole acqua il campo arido, maimone laudato”. Il sacro e il profano che nei momenti della disperazione si incontrano per scontrarsi. “Non posso fare altro che pregare”, spiega l’arcivescovo di Milano. Gli uomini devono una volta per tutte capire che le colpe di questo flagello non sono di “Maimone” ma di chi violenta questa terra. Monsignor Delpini, lei che può metta una buona parola per riattivare certe sinapsi rinsecchite per troppa siccità celebrale. Il Paese ringrazia.

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