S ono un indigeno bianco. Fino a qualche giorno fa non lo sapevo. Ora lo so e sono contento del mio nuovo status sociale e anagrafico. Ringrazio la signora Donata Bianchi, anch’ella indigena bianca di cognome e di fatto. L’idea è sua. Consigliera comunale di Firenze, appartiene al Pd e vanta una buona amicizia con Elly Schlein. Ha quindi tutte le carte in regola per proporsi come riformatrice della lingua italiana nel rispetto dei canoni vincolanti del politicamente corretto. Sostiene che per non mettere a disagio gli immigrati, di cui è offensivo declinare ossessivamente le origini, dobbiamo evitare di definirci italiani. Molti lo fanno con orgoglio arrogante turbando la sensibilità di chi proviene da luoghi lontani e culture diverse. Il nostro linguaggio è vecchio e superato, tanto da sembrare discriminante e razzista. Inoltre, per agevolare il processo d’inclusione degli stranieri, propone di estendere a loro il diritto di voto nelle elezioni amministrative: se inclusione dev’essere inclusione totale sia. Donata Bianchi conduce da tempo battaglie ideologiche. Tra le altre quella sull’uso dell’asterisco per desessualizzare le parole. Che è una colossale bischerata. Mi scusi, signora, del linguaggio molto schietto. Mi sono preso questa libertà in virtù della nostra comune appartenenza alla tribù degli «indigeni bianchi».

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